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martedì 28 luglio 2009

Umbria Olii: chi pagherà per quella strage?

Ci sono notizie che dovrebbero naturalmente essere in evidenza, nei giornali, nei tg, su internet. Ma sappiamo che questo succede di rado. Così, mentre la grande informazione non si perde una parola che sia una di Bossi che finge premura per i soldati italiani in Afghanistan, succede che Giorgio Del Papa, amministratore delegato della Umbria Olii, torna a chiedere un risarcimento milionario alle famiglie delle vittime ed all'unico sopravvissuto dei 5 operai nella nella strage avvenuta nell'azienda da lui amministrata. Tutto nel quasi assoluto silenzio. Per quanto ne so, solo Il Messaggero, nella cronaca locale, ha riportato la notizia, ripresa oggi da Liberazione con un bell'articolo. Notizia che non finisce qui.

Infatti Del Papa, oltre ad avere rilanciato la richiesta di risarcimento danni, ha lasciato la direzione della Umbria Olii ad un suo collaboratore. Nel frattempo la società ha aggiunto al proprio nome la parola international, diventando perciò Umbria Olii International ed è stata posta in liquidazione. L'azione legale contro i familiari delle vittime ed il lavoratore sopravvissuto alla strage, è invece promossa da un'altra società: la Gestoil con a capo lo stesso Del Papa.

Tutte queste manovre, dopo quasi tre anni di rinvii; precedenti richieste di risarcimenti danni da parte di Del Papa sempre alle stesse famiglie, ma cadute nel vuoto; tentativi di ricusazioni del tribunale competente. Il tentativo, ovvio, è il prolungamento dei tempi del procedimento. Ora, finalmente, è stata fissata la data del 24 novembre prossimo per l'apertura del processo. Sperando che effettivamente sia così, perchè ancora una volta Del Papa, ha impugnato la decisione del giudice e chiamato in causa la corte di Cassazione. Questa finora ha respinto i ricorsi della difesa, ma è evidente il tentativo di dilatare ancora i tempi del procedimento penale.

Ma nel frattempo, se viene completata la procedura di messa in liquidazione della Umbria Olii, chi risarcirà i famigliari delle vittime dell'esplosione avvenuta il 25 novembre del 2006, nella quale persero la vita quattro lavoratori di una ditta esterna ed un altro rimase gravemente ferito? Senza un sequestro cautelare della società, chi pagherà dal punto di vista civile, per quella strage? La risposta dagli organi di informazione pare essere: chissenefrega!

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venerdì 14 novembre 2008

Pensavo fosse Stato di diritto ed invece era cesarismo

In questi giorni ho provato un senso di profondo disorientamento. Alcuni avvenimenti politici, di cronaca, notizie in genere, hanno rischiato di mandarmi seriamente in confusione. Ho temuto che quel poco che avevo imparato dalla vita e da qualche lettura, non fosse ad un tratto più valido.
Tra le altre cose, sapevo ad esempio, che lo stato di diritto ponesse le sue basi su un agire (dello Stato) sempre conforme alle leggi. In primo luogo su un agire sottoposto ai vincoli costituzionali.
Supponevo, forse ingenuamente, che quello italiano fosse uno stato di diritto. Mi aspettavo quindi che lo Stato italiano, si dovesse porre a salvaguardia del diritto e delle libertà dei cittadini che abitano la Repubblica. Poi, appunto, quei fatti politici e di cronaca.

Ho scoperto, quindi, che lo Stato italiano, con la sua forma approssimata di separazione dei poteri, tutela il "diritto" delle forze dell'ordine alla "libertà" di pestaggio e di tortura. Questo diritto è tanto tutelato dallo Stato italiano, che non solo assolve chi è a capo dei pestatori e dei torturatori, ma addirittura li promuove. Ho scoperto questa cosa, grazie a dei giudici che hanno preferito non giudicare. Quei giudici si sono sottratti dal giudicare un potere, che a Genova, nel 2001, in occasione delle manifestazioni contro il G8, ha deciso di mostrare il suo autoritarismo sospendendo i diritti costituzionali più elementari. Fino ad autorizzare se stesso all'uccisione sommaria in una pubblica piazza.
Ed ho scoperto che lo Stato italiano tutela il "diritto" di un governo a mortificare le libertà dei suoi cittadini, esautorando propri rappresentanti che credono ancora nella validità dei dettati costituzionali. Ad esempio, rimuovendo dalle proprie funzioni il prefetto di Roma, Carlo Mosca in carica soltanto da poco più di anno. Ma quel prefetto, forse ingenuo come me, aveva osato rifiutarsi dall'eseguire l'ordine superiore di prelevare le impronte digitali ai bambini di etnia rom. Constatando (l'ingenuo prefetto) che quell'ordine andava contro alcuni principi fondamentali della Costituzione.

Insomma, ho dovuto scoprire che lo Stato decide di arrogarsi in maniera violenta il diritto a porsi al di sopra delle sue leggi e della sua Costituzione. Mentre ai cittadini rimane il dovere di adeguarsi alla volontà dell'autorità, che si fonda sull'arroganza di potere arbitrario.
Ed ho scoperto quindi che lo Stato ci vuole non cittadini ma sudditi, pacati, consenzienti e timorosi del suo cesarismo. Ma io, magari ingenuamente, continuerò a voler essere un cittadino. Che vuole resistere.

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giovedì 14 agosto 2008

"Ecco un caso di certezza della pena", direbbe qualcuno. Siamo sicuri?

"Ecco un caso di certezza della pena", direbbe qualcuno. Siamo sicuri? Il caso riguarda Alì Juguri, 42enne iracheno. Era stato arrestato in Italia per il aver tentato il furto di un telefono cellulare. Per questo era stato condannato ad un anno e tre mesi di reclusione ed aveva cominciato a scontarlo nel carcere milanese di San Vittore. Per "sfollare" quel carcere sovraffollato, Alì Juguri era stato trasferito nel carcere di Vasto e quindi in quello de L'Aquila.
Alì Juguri ha sempre reclamato la sua innocenza e nonostante in Italia il codice penale preveda la condizionale, per le condanne di incensurati a reclusioni inferiori a due anni, questo signore iracheno è finito in cella. Dopo un processo nel quale era stato assistito da un avvocato d'ufficio, che non deve avere preso molto a cuore la sua vicenda, visto che nessuna misura alternativa è stata prevista per lui.

La storia di Alì Juguri mi è passata molto vicino. Mi ha quasi sfiorato essendo passato Alì, nel carcere della mia città (Vasto) e poi in quello del capoluogo della mia regione (L'Aquila). E mentre era dalle parti in cui vivo, Alì aveva già cominciato uno sciopero della fame, che poi lo ha condotto alla morte. Ma i giornali non si interessano di casi come quello di Alì. C'era da interessarsi dei guai giudiziari del presidente della regione Abruzzo Del Turco, del quale ci si è scandalizzati per il regime di finto isolamento al quale era costretto. Si scriveva delle richieste degli avvocati di Del Turco, di concessione di arresti domiciliari e si intervistavano suoi paesani che sembravano tutti concordi nel ritenerlo innocente.
Alì invece, che non conosceva bene la lingua italiana, non ha trovato alcuna voce che potesse parlare al posto suo. Nessuno si è stracciato le vesti per fargli ottenere quanto in diritto gli spettava. Nessuno che si sia interessato a lui, straniero in Italia per il quale non valgono i diritti. Se sei uno straniero povero in Italia, hai il solo dovere di obbedire alle leggi e di sottometterti alle pulsioni xenofobe dell'opinione pubblica.

E allora cosa poteva fare Alì, se non usare l'unico mezzo di protesta a sua disposizione: il proprio corpo? Lo ha usato, quel suo corpo, fino a consumarlo. Fino a quando il suo corpo non ha cominciato a nutrirsi di se stesso. Fino ad uccidersi. Fino a lasciarsi morire nella più indecente indifferenza di un sistema carcerario, giudiziario, burocratico e politico, che dispensa doveri e concede diritti in base all'etnia, alla religione, alle condizioni personali e sociali.
"Ecco un caso di certezza della pena", direbbe qualcuno. Siamo sicuri? Siamo sicuri che non sia invece, l'ennesimo caso di incertezza della giustizia?

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lunedì 21 luglio 2008

Michele Fabiani esce dal carcere. Ma continua la battaglia per la verità e la libertà

Michele Fabiani è un giovane anarchico di Spoleto. Fu arrestato il 23 ottobre 2007 insieme a quattro suoi amici: Andrea Di Nucci, Dario Polinori, Damiano Corrias e Fabrizio Reali Roscini; nell'ambito della cosidetta "Operazione Brushwood" con l'accusa di far farte di una cellula anarco-insurrezionalista denominata COOP-FAI.
Dal blog Liberate Michele Fabiani sono felice di apprendere che a Michele sono stati almeno concessi i domiciliari, dopo aver passato quasi 9 mesi in carcere, 100 giorni di isolamento a Perugia e la detenzione in EIV a Sulmona.
E' stato fatto un importante passo avanti. Almeno gli occhi di Michele potranno ora osservare oltre le grigia mura di un carcere. Non significa però che la repressione ai suoi danni sia conclusa, perchè di fatto la verità non è ancora venuta a galla e di fatto non gli è stata ancora restituita la libertà.

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mercoledì 16 luglio 2008

Le conseguenze dell'arresto di Del Turco, oltre l'Abruzzo

Sono abruzzese e perciò non posso non percepire tutto il peso politico della vicenda che ha portato agli arresti, il presidente regionale Del Turco ed altri esponenti della giunta regionale, per presunte tangenti e sperpero di denaro pubblico, gestiti dall'interno di un sistema sanitario regionale che lo consente.
Non voglio parlare delle inefficenze del sistema sanitario, presumo pressochè simili ad altre realtà nazionali. Nè voglio dire di quanto ritengo deleterio per le sanità regionali il sistema di cartolarizzazioni, introdotto da Tremonti nel 1999 e che consente di fare affari speculando sulla sanità pubblica (quindi sulla salute dei cittadini). Un sistema che fa tanta acquolina, che pare che al banchetto abbiano partecipato esponenti del centrodestra e del centrosinistra.

Sarei tentato di unirmi al coro giustizialista, non fosse altro che Del Turco fino ad oggi ha assunto atteggiamenti simil-despotici (vedi, tanto per fare un esempio, la questione centro oli di Ortona). Ma non sono mai stato un forcaiolo e non comincerò ora. Credo che la magistratura, se verrà lasciata lavorare, saprà dare le giuste risposte. Per ora, Del Turco & co. sono "solo" accusati di avere contribuito pesantemente ed in maniera illegale a mandare la sanità abruzzese in bancarotta. Per ora, non sono colpevoli e non sono innocenti. E' perciò sbagliato avere atteggiamenti forcaioli. E' altrettanto sbagliato difendere nel merito gli indagati. Specie quando lo si fa per mantere posizioni di privilegio.

Ed invece il mondo politico, quasi senza distinzioni ed in misura maggiore con i maggiori partiti politici (PdL e PD), fanno a gara di solidarietà nei confronti di Del Turco e dei componenti della giunta regionale arrestati. Non si tratta di sola solidarietà umana (che in questo caso può anche starci), ma di solidarietà politica e di conseguenti accuse alla magistratura, per le misure assunte che si presumono eccessive.
L'occasione si è rilevata proprizia al Presidente del Consiglio ed ai suoi adepti, per muovere un nuovo attacco alla magistraura, e per chiamare l'opposizione ad unirsi al crociata contro i giudici che lavorerebbero con l'unico obiettivo di intervenire nel quadro politico.

Il livello dello scontro tra politica e magistraura rischia di alzarsi, in uno scenario nel quale l'attuale politica istituzionale vorrebbe relegare il potere giuridico entro confini ben definiti. A debita distanza dal potere politico che si vorrebbe fosse legittimato esclusivamente dal popolo, da cui ha ricevuto il mandato a governare e che perciò dovrebbe essere libero da qualsiasi intralcio.
Il rischio è quello di vedere il peso di un potere (quello esecutivo), non bilanciato da adeguati contrappesi, costituiti da altri poteri autonomi.

Al di là della caso giudiziario, che non voglio per ora di commentare, visto che le notizie si rincorrono tra dichiarazioni di diversa natura e senza che Del Turco sia stato nemmeno interrogato, credo che questa vicenda farà segnare un passo avanti nello scontro già in atto tra politica e magistraura, che ha già prodotto per ora oscenità legislative come il "lodo Alfano" ed il "blocca processi".
Il rischio è il tentativo, da parte di questo potere politico, di sferrare un duro colpo allo stato di diritto.

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mercoledì 25 giugno 2008

Mi verrebbe da dire: "macchissenefrega di Berlusconi e del suo processo Mills!"

Riferendosi alla nuova stagione berlusconiana, condita di leggi ad personam decretate a colpi di maggioranza, dai banchi dell'opposizione di alcuni senatori dell'IdV, si alzano cartelli con su scritto: "il ritorno del caimano". Mi viene da dire: "povero caimano!". Splendido esemplare di alligatore, minacciato di estinzione dagli atti di bracconaggio e dalla distruzione del suo habitat. Non credo andrebbe orgoglioso di essere accostato a re Silvio IV.
Ad ogni modo, paragoni a parte, la sostanza è che ieri il senato ha approvato il pacchetto sicurezza, che contiene tra le altre cose, anche l'emendamento "salva premier", così ribattezzato perchè permette di bloccare il processo Mills, nel quale Berlusconi è coinvolto da imputato. Il decreto ancora non è approvato in via definitiva, visto che dovrà passare per il voto alla camera. Ma non credo che il PdL (Partito del Liberticidio), potrà avere grossi problemi.
Visto nella sua interezza, questo pacchetto sicurezza, mi verrebbe da dire: "macchissenefrega di Berlusconi e del suo processo Mills!". Un'eccessiva attenzione alle sorti giudiziare di Berlusconi, hanno fatto passare in secondo piano che quello stesso emendamento, bloccherà anche processi quali: Oil for food; la macelleria messicana del G8 a Genova; crack Cirio; oltre che migliaia di processi per rapine, furti, stupri, violenze domestiche.
Il problema dell'emendamento "salva premier", sta quindi non tanto nel fatto di avere bloccato il processo Mills in particolare (seppure si tratta di un fatto gravissimo), ma nel voler generare una giustizia a diverse velocità. Il fatto allarmante, è il voler stabilire per decreto che i cittadini saranno pure uguali di fronte alla legge, "ma alcuni sono più uguali degli altri".
In questo distorto principio di uguaglianza, i più uguali fra tutti coincidono ovviamente con quelli più deboli, i cui reati sono trasformati in strumento politico. Si utilizzano alcuni reati per trasformare la percezione di insicurezza in allarme sociale. E se c'è un allarme sociale, secondo i principi demagogici che regolano questo governo, c'è un'emergenza da risolvere che non può non prevedere misure eccezionali, come appunto l'esercito nelle strade.
Quello che dovrebbe preoccuparci è perciò il nuovo ordine pubblico di tipo autoritario che si va instaurando, che viene in questo caso confermato dopo i provvedimenti, anche qui emergenziali, sui rifiuti in Campania. Un ordine pubblico che mostra i muscoli nelle strade e riserva una corsia preferenziale a taluni processi per punire, in modo demagogico e vendicativo, alcuni reati. Anzi alcune categorie di persone, mentre altre verrebbero tutelate da una magistratura che a detta di re Silvio IV "vuole sovvertire la democrazia".
Ecco cosa innanzitutto dovrebbe preoccuparci: l'uso del potere da parte di certe caricature politiche, che in modo ingannevole continuano a richiamare i concetti di democrazia, libertà e giustizia.
Se non ci svegliamo, se non ci leviamo un po' del fumo che ci stanno buttando negli occhi, rischiamo di fare la fine di quelle "creature di fuori [che] guardavano dal maiale all'uomo, dall'uomo al maiale e ancora dal maiale all'uomo, ma già era loro impossibile distinguere fra i due".

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lunedì 16 giugno 2008

Come il "sogno n.2" ... eppure non sto dormendo!

Oggi, un giudice come me,
lo chiede al potere se può giudicare.
Tu sei il potere.
Vuoi essere giudicato?
Vuoi essere assolto o condannato?

Così cantava De Andrè nel Sogno n. 2 nel 1973. In quella canzone, De Andrè raccontava di un imputato le cui azioni erano spinte dalla ricerca di un potere personale; un imputato che decide per sè e per gli altri; un imputato che attraverso le sue azioni era diventato il potere, e che ora poteva decidere addirittura se essere o meno giudicato, se essere o meno condannato.

Anche oggi, un giudice della Repubblica italiana, deve chiedere al potere se può giudicare. Ed il potere oggi è detenuto da Berlusconi e dal suo governo.
Un potere che ha avviato un'iter legislativo, per
sospendere i processi che il potere ritiene "non necessari". E quali sarebbero i processi "non necessari"? Quelli che non prevedono imputati detenuti e quelli per reati che non abbiano messo in pericolo la sicurezza pubblica, o che non abbiano comportato grave allarme sociale. Può trarre vantaggio Berlusconi da tale provvedimento? Certo che può ed è il suo obiettivo: bloccare la sentenza del processo Mills dov'è imputato di corruzione in atti giudiziari.

Riflettendo su questo provvedimento di re Silvio IV, mi è tornato in mente il pensiero di Montesquieu, il quale sosteneva, già nel XVIII secolo, che per evitare arbitri e soprusi i tre poteri dello Stato (legislativo, esecutivo e giudiziario) devono restare separati. Oggi assistiamo invece ad un Governo (potere esecutivo) che emana leggi per contrastare l'operato dei giudici (potere giudiziario), e lo fa innanzitutto scavalcando la discussione parlamentare (potere legislativo), visto che verrà presentato un emendamento al decreto sicurezza. Con tanti saluti alla separazione dei poteri.
Buonanotte Democrazia!

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martedì 8 aprile 2008

Ingiustizia è fatta, per la morte sul lavoro di un giovane di 24 anni

[Ricevo da Marco Bazzoni questa importante segnalazione. Purtroppo è solo dei tanti casi di profonda ingiustizia. Pensare che per le coppie di fatto, non è praticamente previsto alcun risarcimento, nel caso in cui il compagno nouia sul lavoro.]

Andrea Gagliardoni è morto il 20 giugno 2006 per colpa di una pressa meccanica difettosa che gli ha schiacciato il cranio. La famiglia ha ricevuto dall'Inail uno scandaloso indennizzo di soli 1600 euro per le spese funerarie.
E' una vergogna!!!
E' questa sarebbe la giustizia?!


Marco Bazzoni-Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.


La mamma del giovane elpidiense morto in un infortunio sul lavoro grida allo scandalo. Al processo gli imputati hanno patteggiato la pena di otto mesi

Fermo, 5 aprile 2008 - Giustizia è fatta… o forse no. Dipende dai punti di vista. Non sembrerebbe dalla rabbia di Graziella Marota, la madre di Andrea Gagliardoni, l’operaio elpidiense di 24 anni morto in incidente sul lavoro. E’ accaduto di tutto ieri, prima, durante e dopo l’udienza davanti al giudice del tribunale, Ruggiero Dicuonzo. I primi attimi di tensione ci sono stati quando in tribunale è comparso Mario Guglielmi, il 58enne di Schio (Vicenza) legale rappresentante della ditta costruttrice del macchinario che provocò la morte del giovane. L’atteggiamento non proprio ortodosso dell’uomo ha fatto scattare l’immediata reazione dei familiari del ragazzo. Il padre Marcello Gagliardoni e la sorella sono riusciti a mantenere un atteggiamento più distaccato, mentre la madre si è allontanata in lacrime.

Quando nel corso dell’udienza il pm Antonio Bartolozzi ha illustrato i termini del patteggiamento per i due imputati, è scoppiato il putiferio e la Marota ha manifestato tutta la sua rabbia. Il giudice Dicuonzo, pur premettendo di non volere interferire con l’operato della pubblica accusa, ha specificato che avrebbe preferito un accordo che prevedesse una pena non inferiore ai 12 mesi. Dal canto suo, il pm ha sottolineato l’atteggiamento collaborativo dell’altro imputato, Giuseppe Bonifazi, il 46enne di Magliano di Tenna titolare della Asoplast, la ditta di Ortezzano in cui quasi due anni fa si consumò la tragedia. Il processo si è concluso con un patteggiamento di otto mesi per entrambi gli imputati difesi dagli avvocati Massimo Spina, Daniele Bacalini e Alfredo Tacchetti.

[da il Resto del Carlino]

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venerdì 7 marzo 2008

Michele Fabiani: un anarchico in cattività

Navigando nella rete, mi sono imbattuto nella vicenda di Michele Fabiani, giovane anarchico si Spoleto, arrestato il 23 ottobre 2007 insieme ai quattro suoi amici Andrea Di Nucci, Dario Polinori, Damiano Corrias e Fabrizio Reali Roscini. Tutti arrestati nell'ambito della cosidetta "Operazione Brushwood" con l'accusa di far farte di una cellula anarco-insurrezionalista denominata COOP-FAI.
Qui riporto una lettera di Michele Fabiani, divulgata dal comitato 23 ottobre. Da diffondere quanto più e meglio si può!
Altre ed aggiornate informazioni, possono essere reperite anche in dal blog Liberate Michele Fabiani.

Sono Michele Fabiani, "detto Mec", come direbbero i giudici, eh eh. Vorrei che questo scritto girasse il più possibile, non so ancora se potrò fotocopiarlo o se dovrò ricopiarlo a mano per cercare di mandarlo il più possibile in giro. Dalla seconda media mi chiamano Mec perchè per spirito di contraddizione tifavo la Maclaren.... e così ho appena scoperto che di sfortune ne ho avute di 2 in 2 giorni: la macchina di Agnelli e Montezemolo vince i mondiali e io finisco in galera. Martedi 23 ottobre 5 brutti uomini (2 erano cosi' brutti che si sono messi il passamontagna) irrompevano in casa mia, la mettevano completamente sottosopra e mi arrestavano in base all'articolo 270bis (scritto dal ministro Rocco per Mussolini). I reati associativi come l'art. 270 bis e 270 permettono di arrestare qualcuno non per cio' che ha fatto, ma per come la pensa, perchè fa parte di qualche fantomatica associazione. Basti pensare che uno di noi 5, rinchiusi in isolamento giudiziario da quasi 4 giorni e da oggi in E.I.V., è accusato solo di aver fatto una scritta su un muro! Ci pensate? Tre volanti (a testa), i mitra, i passamontagna, la scorta aerea dell'elicottero, le telecamere, il carcere, l'isolamento, l'e.i.v., per una scritta su un muro! Sono poi stato portato alla caserma dei carabinieri di Spoleto e poi a quella di Perugia, infine da quella di Perugia al carcere. Il primo momento propriamente comico è stato il trasferimento tra la caserma di Perugia e il carcere: chi guidava la macchina, forse impressionato, si è sbagliato strada e abbiamo fatto 2 volte il giro intorno alla stazione ferroviaria. In carcere mi stanno trattando bene, non mi hanno mai toccato (in tutti i sensi, neanche per gli spostamenti). La cella è molto sporca, c'è un tavolo appeso al muro con un armadietto inchiodato ed un letto inchiodato per terra ed alla parete. Oggi è caduto l'isolamento e abbiamo anche la tv. Resta il divieto di comunicare tra noi, che è la cosa peggiore. Ho visto le immagini del TGR Umbria che eravate fuori durante gli interrogatori: eravate tanti! Sono stato tanto felice, purtroppo da dentro non vi abbiamo sentito. Ho risposto alle domande non perchè io riconosca un qualche valore alla magistratura, ma per il semplice motivo che nelle motivazioni del nostro arresto c'erano scritte talmente tante (omissis) che ho ritenuto importante contraddirle subito, pur senza essermi mai consultato con gli avvocati, per la corretta esposizione dei fatti, per la libertà di tutti noi. Talmente tante erano le falsità, le contraddizioni, gli errori grossolani che era di importanza strategica distruggerle immediatamente. Nessuno tema o si rallegri: io ero, sono e resto un prigioniero rivoluzionario. Lo ero, un prigioniero ed un rivoluzionario, anche prima di martedi: siamo tutti prigionieri, tutti i giorni. Quando ci alziamo la mattina per andare a lavorare, quando passiamo gli anni più belli della nostra vita sprecati su una macchina, quando facciamo spesa, quando non possiamo farlo perchè mancano i soldi, quando li buttiamo via i soldi per delle cazzate (vestiti, aperitivi, sigarette non c'è differenza) quando guardiamo la tv che ci fa il lavaggio del cervello, che cerca di terrorizzarci con morti, omicidi, rapine (quando in 15 anni gli omicidi sono diminuiti del 70%) così che noi possiamo chiedere piu' telecamere, piu' carceri, pene sicure, quando se c'è una pena davvero sicura a questo mondo è quella che incatena lo sfruttato alle sue condizioni. Io non ho mai detto "SONO UN UOMO LIBERO", in pochi possono dirlo senza presunzioni. Se io fossi un uomo libero, andrei tutti i giorni sulla cima del Monte Fionchi, in estate con le mucche e le pecore e in inverno con la neve, e dopo aver raggiunto faticosamente le cime...guardare a nord ovest, la valle Umbra o Valle Spoletino come si diceva una volta, poi a nord est la Valnerina e il Vettore quasi sempre liscio dietro, e poi via verso est tutti gli appennini che cominciano da lì, fino a sud dove ci sono quelle meravigliose foreste... E forse, ripensandoci, neanche lì sarei davvero libero. Perchè la valle Umbra è piena di cave, di capannoni, di fabbriche, di mostri che devono essere combattuti. Ma mancano gli eroi oggi mentre di mostri ce ne sono anche troppi. Quindi io non sono un uomo libero, il dominio non è organizzato per prevedere uomini liberi. Però sono un rivoluzionario, un prigioniero rivoluzionario. Io sapevo gia' di essere un prigioniero, prima che un giudice me lo dicesse. Certo, questa prigione è diversa da quella fuori: qui vedi tutti i giorni, in maniera limpida, simbolica e allo stesso tempo materiale quali sono i rapporti di forza del dominio; dove c'è chiaramente e distintamente l'uomo, con i suoi sogni, i suoi amori, il suo carattere, e il sistema, le sbarre, le catene, le telecamere, le guardie. Potremmo dire, ironicamente, che da un punto di vista politico-filosofico qui le cose sono piu' semplici: il sistema cerca di annientare l'individuo, l'individuo cerca di resistere. Ovviamente l'uomo qui sta peggio. E' inutile fare retorica. Dopo qualche giorno la gabbia te la trovi intorno alla testa, è come se avessero costruito un'altra piccola gabbietta, precisa precisa intorno alla tua testa. Con il cervello che ragiona ma non ha gli oggetti su cui ragionare, con la voglia incontenibile di parlare e non c'è nessuno, di correre e non c'è spazio, quando mi affaccio alla finestra vedo un muro con altre sbarre, non si vede un filo d'erba, una collina (neanche durante l'aria, che passo solo in una stanza piu' grande), fuori dalla tua gabbia c'è un altra gabbia. La mia paura è che questa sensazione mi rimanga anche quando esco. Che la lotta per non impazzire diventera' il fine della mia vita. Nel carcere "formale" l'uomo combatte contro se stesso, mentre nel mondo fuori il rivoluzionario deve combattere una guerra contro entita' oggettive. La mia paura è che ci si dimentichi di questi 2 livelli di scontro, che anche quando usciro' ci sarà questa gabbia intorno alla testa che mi ............ e mi dice di non prendere a calci la porta della cella e di mettermi ad urlare. Non solo l'uomo antropofizza il mondo, ma in galera l'uomo antropofizza anche se stesso: come distruggiamo le montagne, così qui distruggiamo la nostra mente, costruendo fantasmi contro cui scontrarci. Il rapporto è tutto mentale qui. E' di questo che voglio liberarmi, voglio uscire e continuare ad avere una capacità di analisi oggettiva della realtà. Qui questa capacità rischio di perderla. Mentre fuori, innaffiando un seme e facendo crescere una pianta, si ha un'interazione fisica con il mondo qui lo scontro è tutto psicologico. Lo scontro è fisico solo ad un primo livello, con i muri che non mi fanno uscire, ma in realtà la guerra è anche con i nostri fantasmi. I muri sono troppo materiali per essere reali. Sbagliano i marxisti quando riconducono tutto alla materia. La realtà è una sintesi in cui l'uomo colloca se stesso tra il mondo e le sue idee. In galera purtroppo questa sintesi è pericolosamente, patologicamente, troppo incentrata sulla mente. Ai compagni che scrivono che non trovano parole dico di trovarle queste parole che ne abbiamo troppo bisogno. Scriveteci a tutti e 5! Vorrei che qualcuno dicesse ad Erika che le mando un bacio.
Mec, Un anarchico in cattivita' 26/10/07"


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martedì 26 febbraio 2008

G8 di Genova. Bolzaneto come un girone dell'inferno

Finalmente qualcosa comincia a venire alla luce, sui drammatici fatti di Bolzaneto, durante il G8 di Genova del luglio 2001.
Durante la seconda parte della requisitoria dei pm Vittorio Ranieri Miniati e Patrizia Petruzziello, sono emersi fatti inquitanti di torture fisiche e psicologiche, perpetrate nella caserma di Bolzaneto. Gli imputati per questi reati sono in 45, tutti ai vertici del personale della polizia penitenziaria, polizia di stato, carabinieri e medici.
Un girone dell'inferno, come è stato definito, nel quale i manifestanti arrestati durante le manifestazioni sono stati picchiati, insultati, spogliati, derisi e minacciati tra le altre cose di sodomizzazione.

Chi è scampato a questa Guantanamo genovese, provi a pensare solo un attimo di essere sottoposto a torture simili. Vai a manifestare la tua speranza di costruire un mondo diverso e migliore e ti ritrovi in un stanza, sottoposto a delle torture.
Lo so che qualcuno verrà fuori con la solita storia dei manifestanti violenti. Ci sarebbe da discutere abbondantemente su: quali fossero i violenti tra una sterminata folla pacifica; chi avrebbe dovuto allontanarli dal corteo; come iniziarono gli scontri; ecc.; ecc. Ma non voglio farlo qui, nè ora. L'unica cosa che mi preme marcare, è il maggiore carico emotivo che si cela nelle violenze eseguite da uomini in divisa su persone inermi, dentro una caserma, mostrando così tutta la vigliaccheria di quelle violenze.
Immagino lo stato d'animo di quei manifestanti umiliati, che devono essersi sentiti come in un incubo, di quelli dove ti ritrovi in una condizione di estremo pericolo. Vorresti fuggire, ma non puoi, chiuso come sei tra quattro mura e vorresti urlare, ma la voce rimane soffocata e comunque nessuno può sentirti. Stretto tra una condizione claustrofobica ed uno stato d'ansia per il pericolo evidente per la propria incolumità, che non sai fino a che punto sarà tutelata, ti ritrovi costretto a vivere l'incubo, fino a quando non tu ma qualcun altro non decide che puoi svegliarti.

Ciò che deve preoccuparci, come società civile, è il rischio di impunità per chi diede evidentemente ordini precisi per quelle violenze, o comunque volutamente si distrasse nel momento in cui le torture vennero perpetrate. E deve preoccuparci il fatto che nessuna inchiesta interna alle forze dell'ordine, è stata portata avanti a seguito dell'accertamento di quelle torture, marcando un'assenza di democrazia e senso civile in certi ambienti.
Senza una riforma che sia prima di tutto culturale, in ampi settori dell'ordine pubblico, ho paura che potremo ancora assistere ad episodi come quelli del G8 genovese.
In questo senso, le vicende di Federico Aldrovandi e di Aldo Bianzino, sono molto più vicine di quanto possa apparire ai fatti di Genova 2001.

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lunedì 18 febbraio 2008

Gli hanno rubato sette anni della sua vita


Stephen è il nome inventato per un migrante nigeriano, che ha subito una drammatica ma reale vicenda. Stephen è uno dei tanti arrivati in qualche modo in Italia. Uno dei tanti ad avere abbandonato la propria terra di miseria, fame e dolore per cercare una vita migliore nel nostro Paese. Come tanti altri migranti, ha salutato con dolore la sua famiglia, gli amici e gli affetti, si è caricato di ricordi ed è arrivato fin qui in Italia, per sperare in un futuro che non fosse fatto solo di guerre e di miseria.
Stephen è nato nel 1969 a Port Harcourt (Nigeria), ed è arrivato in Italia con in tasca una laurea Chimica.

Non è mica facile immaginare l'ingresso di cervelli in Italia, abituati come siamo a vedere fuggire i cervelli italiani, alla ricerca, loro come Stephen, di una dignità che non si riesce a trovare nel Paese d'origine.
Ma quelli di Stephen diventano presto sogni infranti contro un'ingiustizia, che in genere viene riservata alle categorie più deboli. E "Sogni infranti" è il titolo dell'autobiografia che Stephen scrive in carcere.
E già ... perchè Stephen nel 2001 viene arrestato per traffico internazionale di droga. Successivamente viene condannato a otto anni di carcere e la pena viene poi confermata in appello. Oltre a scrivere il romanzo citato sopra ed a prendere parte alla compagnia "Liberi Artisti Associati", Stephen si diploma in Informatica e nel maggio 2007 si laurea con lode, all'Università romana di Tor Vergata.
Stephen lo sa che sarà costretto a ricostruirsi una vita. Ma soprattutto sa di dovere recuperare il tempo perduto in anni di carcere scontati ingiustamente. Infatti il 4 febbraio 2008, Stephen viene pienamente assolto dalle accuse dalla Corte d'Appello di Napoli.
Ma adesso Stephen sa anche che nonostante gli sforzi, quansi certamente non potrà ricostruirsi una vita in Italia. L'ingiustizia italiana, dopo avergli sottratto sette anni della sua vita, non ha finito di abbattersi su lui. Per quanto Stephen voglia recuperare il tempo perduto, non gli sarà concesso di farlo nel nostro Paese, perchè la Legge Bossi-Fini non permette il rinnovo del permesso di soggiorno ai migranti che hanno avuto problemi con la giustizia (a Stephen il permesso di soggiorno è scaduto mentre era in carcere) e li obbliga a lasciare il territorio italiano, con il divieto a rientrarvi.
Non importa che sia stata la giustizia ad avere problemi con un migrante. A Stephen nessuno restituirà i sette anni che gli sono stati rubati.
A chi di fatto ha permesso che una vicenda come quella di Stephen potesse accadere, emanando una legge squallida e vergognosa, che calpesta la dignità di essere umani, non sarà presentato neanche il foglio di via dal Parlamento italiano. Purtroppo.

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venerdì 18 gennaio 2008

Sul caso Mastella, Montesquieu avrebbe di che parlare.

"Mi dimetto per essere più libero politicamente e umanamente, perché tra l'amore per la mia famiglia e il potere scelgo il primo". Un applauso a Mastella per questa sua affermazione, a cui è poi seguita la sua dimissione. Un applauso perchè almeno, ha avuto il merito di compiere un gesto che in Italia non si vede compiere così di frequente. D'altronde il nostro Parlamento è pieno di condannati ed inquisiti. E non solo il Parlamento. Viviamo di una politica malata, usata spesso a scopo personale, anche in luoghi minori, dal punto di vista della gerarchia istituzionale, a quello parlamentare.
Tanto malata questa nostra politica, che ha il coraggio di applaudire quasi all'unisono l'ex ministro della Giustizia, quando attaccando frontalmente la magistratura parla di "frange oltranziste" che avrebbero praticato nei confronti del Guardasigilli una "autentica persecuzione", dato che sarebbe stato "percepito da frange estremiste come un avversario da contrastare, se non un nemico da abbattere".
E così, se secondo Berlusconi "è successa una cosa di una gravità inaudita", che con tutta l'opposizione parla di attacchi mirati, dalla maggioranza si era invitato Mastella a restare per proseguire il proprio lavoro.
Senza entrare nel merito della vicenda giudiziaria, che deve proseguire e da cui si verificheranno le reali responsabilità di quanti sono indagati, ciò che davvero dovrebbe fare riflettere è la capacità di indignazione della classe politica. Indignazione e solidarietà (seppure qualcuno a tenuto a precisare che si tratta di solidarietà umana) che come detto sono arrivate quasi unanimi.
Stiamo parlando della stessa politica, che non trova parole di indignazione per le incivili condizioni in cui versano extracomunitari (quelli poveri) nei CPT. Extracomunitari (poveri) non agli arresti domiciliari per concorso esterno in associazione per delinquere (come Sandra Leonardo Mastella), ma rinchiusi in veri e propri carceri per reati amministrativi, per i quali ti immagini di dover al più pagare una contravvenzione.
Questa classe politica, che oggi trova parole di umana solidarietà per Mastella indagato per tentata concussione, non si è invece mai sentita vicina alle famiglie dei morti ammazzati nei luoghi di lavoro, che non riescono ad ottenere giustizia spesso grazie alla prescrizione dei reati.
Questa classe politica è capace di indignarsi per l'accusa mossa da un magistrato nei confronti di un Ministro della Giustizia, ma si trova d'accordo a condannare all'espulsione immigrati, per presunte colpe di censo.
Ma come può la politica permettersi di attaccare, non un singolo magistrato, ma l'intero ordine giudiziario, provocando uno scontro tra poteri dello Stato che una sana democrazia non dovrebbe consentire? Proprio cavalcando quelle stesse ingiustizie che ha prodotto. Facendosi forte della lentezza della macchina giudiziaria che la stessa politica non vuole si risolva, tanto per fare un esempio. O ancora parlando di una giustizia che in Italia non farebbe il proprio dovere, citando dati spesso falsati o letti come più fanno comodo, per dire che la giustizia italiana mette fuori i delinquenti (e tanti dentro le istituzioni), dimenticando di dire che magistrati e giudici e avvocati, non possono fare altro che applicare le norme che la politica ha emanato. Eppoi ci sarebbero - non da oggi - le toghe rosse, i pubblici ministeri che vorrebbero sovvertire l'ordine democratico, i giudici non compatibili con l'ambiente in cui devono operare o magistrati che non rispetterebbero le regole burocratiche o i giusti iter procedimentali. Nel Paese si è perciò creato ad arte, un clima spesso di sfiducia nei confronti della giustizia, che oggi permette alla politica la presunzione di poter subordinare al proprio volere, quanti lavorano all'interno della macchina giudiziaria. Ma giudici, magistrati e avvocati sono parte di un potere dello Stato che dovrebbe essere subordinato soltanto alla legge ed invece la politica, che detiene i poteri legislativi ed esecutivi, continua a sferrare attacchi al potere giudiziaro, fino a volerlo vedere svuotato delle proprie prerogative, almeno quando queste possono intaccare certi privilegi.
Montesquieu avrebbe di che parlare.

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lunedì 17 dicembre 2007

De Magistris - CSM rinvia la decisione

La pronunciazione del CSM sul caso De Magistris, in merito alla decisione di sospensione, allontanamento o restituzione delle inchieste, ci sarà probabilmente solo a metà gennaio 2008. Già oggi, però, ci sarebbe potuta essere una prima decisione dello stesso CSM, in merito al "trasferimento cautelare urgente" del magistrato, richiesta nel settembre scorso da ministro della Giustizia (sic!), Clemente Mastella, ma tutto è comunque rinviato all'11 gennaio prossimo. A De Magistris sono contestate irregolarità nell'esercizio delle proprie funzioni. Tra le quali, violazione del segreto istruttorio ed in merito alle dichiarazione del pm calabrese, che si sarebbe presentato come "vittima di persecuzioni da parte di magistrati e politici". De Magistris si difende a ragione, affermando di non avere mai divulgato notizie in merito alle indagini da lui condotte. Ed infatti, ciò che ha scatenato il massacro mediatico del pm calabrese sono state le sue denunce di isolamento, in special modo, quelle riferite con i suoi interventi alla trasmissione Anno Zero. In tanti si sono domandanti dell'opportunità delle affermazioni di De Magistris: "Può un giudice denunciare taluni comportamenti sui media? Non sarebbe stato il caso di rivolgersi alle istituzioni competenti?". Questa è la domanda più ricorrente. Ma a chi rivolgersi? Proprio a coloro che già lo avevano isolato? Oppure a quella politica che lo vorrebbe innoquo? In realtà De Magistris, da uomo solo quale è rimasto, non ha potuto fare altre che rendere pubblica la sua solitudine. Ora è in atto una vera e propria battaglia di giustizia, con da una parte l'indignazione dei cittadini, per i poco chiari (o forse sarebbe il caso di dire, fin troppo chiari) intrecci tra affari e politica e dall'altra gli interessi particolari di chi trae profitti da quegli stessi rapporti.

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