Un
dipinto su tavola di Sandro Botticelli (1445-1510), ora alla National
Gallery di Londra:
Venere
e Marte sono distesi su un prato, sullo sfondo di siepi di alloro e
di mirto, mentre in lontananza il paesaggio è chiuso all'orizzonte da una catena di montagne.
La dea indossa una di
quelle leggiadre vesti bianche, con cui Botticelli usa
rivestire le sue figure mitologiche, ma non rinuncia agli ornamenti alla moda nella Firenze del tempo, come il bordo dorato della tunica o le bionde
trecce posticce incrociate sul seno e decorate di perle. Sdraiata su
un cuscino rosso, assorta nei suoi pensieri, sembra si sia quasi scordata che Marte si è addormentato nudo di fronte a lei.
Il sonno del
dio della guerra deve essere davvero profondo, se non lo svegliano
nemmeno i piccoli satiri che giocano scatenati tutt'intorno.
Dei tre,
che lo hanno disarmato, rubandogli la lancia, uno si è infilato in
testa l’elmo troppo grande per lui, un altro, invece, cerca invano
di svegliarlo, usando come una tromba da suonargli direttamente nell’orecchio, la conchiglia, simbolo di Venere. Un quarto, in primo piano,
sta cercando di districarsi dopo aver indossato la corazza,
decisamente fuori misura, che Marte ha abbandonato a terra.
Il
dio, malgrado la sua natura violenta e bellicosa, non reagisce
nemmeno: dorme sfinito dalle fatiche dell’amore e lascia che le sue
armi diventino giocattoli.
Una
scena mitologica dipinta su una tavola di formato orizzontale (cm 69x173) e nessun
documento che ne parli. Poteva essere un enigma, ma è basato un
piccolo dettaglio per scoprirne il significato e la destinazione: le vespe che sciamano intorno al tronco
spezzato dell’albero in alto a destra, non sono lì a
caso. Rimandano, invece, al cognome dei committenti, i Vespucci, che
sfoggiano, appunto, nello stemma di famiglia, sette vespe d’oro in
campo rosso.
Siamo
negli anni intorno al 1483-84 e Botticelli, appena rientrato da Roma,
dove ha lavorato agli affreschi della Sistina, è uno dei pittori più richiesti di Firenze.
Allegro e spiritoso, come
racconta l’amico Agnolo Poliziano, ama gli scherzi, i giochi di parole e le burle.
Grazie ai suoi rapporti con la famiglia Medici le commissioni non gli
mancano, ma ai Vespucci non vuole dire di no. Sono da tempo suoi vicini di
casa, abitano tutti nel quartiere di Ognissanti, dove l’artista ha la sua bottega a
pianterreno della casa di famiglia e intrattengono rapporti
cordiali, anche se non esenti- come spesso succede- da litigi per i muri di confine.
I Vespucci si sono rivolti a lui per
un’occasione speciale, la celebrazione del matrimonio di un
componente della famiglia, e gli hanno richiesto un dipinto da
destinare- come usava allora- a decorare un cassone o, più
probabilmente, la testata del letto della camera degli sposi.
Per
l'occasione, Botticelli ha dato fondo alla sua fantasia e al suo
temperamento, immaginando un’iconografia augurale e scherzosa, con
i due Dei sopraffatti dall’allegria sfrenata dei piccoli satiri, che- complice l’ambientazione rurale della scena- sostituiscono i
più leziosi amorini.
Ha mescolato, poi, raffinate citazioni letterarie,
da Lucrezio a Ovidio, al più raro Luciano di Samosata e colti
riferimenti alla dottrina neo-platonica e agli scritti di Marsilio
Ficino. E ha creato un'allegoria domestica che più matrimoniale non
si potrebbe, con Venere, "dea humanitatis", dea della
civiltà e della concordia che vince sulla violenza e sulla discordia
simboleggiate da Marte (per l'interpretazione del soggetto qui è il link)
Un
dipinto raffinato, condotto con il suo stile elegante, simile a una
di quelle "favole" pagane che piacciono tanto alla cerchia di Lorenzo il Magnifico.
Mitologia, armonie classiche, citazioni colte, tutto torna. Eppure, basta un dettaglio per scompigliare le carte.
Se guardiamo bene, vediamo, che il piccolo satiro seminascosto dalla corazza di Marte tiene stretto in una mano uno strano frutto. Troppo evidente per essere un elemento casuale è stato recentemente identificato con la datura o stramonio, una pianta talmente nota per il suo potere afrodisiaco e allucinogeno da essere comunemente definita "erba delle streghe".
Se guardiamo bene, vediamo, che il piccolo satiro seminascosto dalla corazza di Marte tiene stretto in una mano uno strano frutto. Troppo evidente per essere un elemento casuale è stato recentemente identificato con la datura o stramonio, una pianta talmente nota per il suo potere afrodisiaco e allucinogeno da essere comunemente definita "erba delle streghe".
Un elemento questo che potrebbe indurre i più maliziosi a immaginare che non sia
solo la spossatezza amorosa a far dormire Marte così
profondamente da renderlo inerme di fronte a Venere.
Potrebbe, appunto, perché, in realtà l'identificazione è risultata tutt'altro che sicura.
Insomma, niente allucinogeni: un'ipotesi stuzzicante sembra finita, per così dire, in fumo.
Osservato con più attenzione il verde frutto si è rivelato molto meno suggestivo: in effetti altro non sarebbe che il cosiddetto "cocomero asinino", noto per emanare un odore disgustoso e per essere usato, all’epoca, non come un malizioso afrodisiaco, ma come un più banale (e più volgare) purgante (per le identificazioni del frutto qui è il link)
Insomma, niente allucinogeni: un'ipotesi stuzzicante sembra finita, per così dire, in fumo.
Osservato con più attenzione il verde frutto si è rivelato molto meno suggestivo: in effetti altro non sarebbe che il cosiddetto "cocomero asinino", noto per emanare un odore disgustoso e per essere usato, all’epoca, non come un malizioso afrodisiaco, ma come un più banale (e più volgare) purgante (per le identificazioni del frutto qui è il link)
Ma allora che senso ha quel frutto che il piccolo satiro ci mostra con un fare così allusivo?
Forse è semplicemente uno scherzo che ben si accorda col carattere di un Botticelli burlone, contagiato dall'atmosfera di battute salaci che di solito si accompagna ai festeggiamenti nuziali. Oppure è una presa in giro o un dispetto ai vicini litigiosi... Chissà!
La questione è aperta: su questo dipinto ci sarà ancora da indagare.