Elio e le storie tese , La terra dei cachi
Come sono complicati i sentimenti che mi legano all'Italia!
Abito all'estero gran parte dell'anno, la metà della mia famiglia è tedesca, e amo il Belgio, il paese dove vivo. Ho sempre detto di sentirmi più cittadina europea che italiana.
Tutto vero, ma non é così semplice.
Ovvio: l'Italia è il paese dove sono nata, dove ho vissuto, dove abitano le mie sorelle, i miei nipoti, i miei parenti, i miei migliori amici, le persone, con cui posso spartire, non solo la lingua, la storia, i ricordi, ma con cui posso ridere di una battuta, intonare una vecchia canzone, rammentare situazioni, luoghi, persone...
Eppure la parola “patria” mi lascia indifferente, non mi commuovo all'inno di Mameli e non mi emoziono nel vedere il tricolore. La Nazionale di calcio mi fa arrabbiare e non condivido nemmeno l'idea dell'italiano "simpatico mascalzone" e poi detesto la furbizia come qualità nazionale. Allo stesso tempo, mi infurio per gli stereotipi e per la visione che si ha dall'estero di un paese ridotto a cartolina, a una brutta cartolina, un'immagine di mafia, di immondizia e spaghetti.
È come se mi sentissi legata all'Italia da un sentimento "antico", primordiale, difficile da definire, da un lungo filo, un elastico, che a volte si può tendere fino all'estremo limite, ma che non si rompe mai.
Poi c'è la vergogna.
Sentivo in un'intervista alla radio che la vergogna è il senso più percettibile e più sicuro dell'appartenenza.
Ci si vergogna per chi si ama, per quelli a cui ci si sente legati, per la comunità, a cui intimamente, si appartiene.
Per altri si può provare imbarazzo, disagio ma mai vergogna.
È vero. È così.
In questo periodo in cui provo, per la situazione italiana, una vergogna acuta e cocente, non mi sono mai sentita di appartenere tanto fortemente a questo paese, così difficile, così irritante, così mio.
Uno stralcio dell'intervista con Carlo Ginzburg :