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sabato 23 maggio 2015

Suzanne Valadon e Raminou: la pittrice e il gatto




Un gatto rosso tigrato che guarda perplesso, tra una tenda e un mazzo di fiori, in questa tela del 1919, ora in collezione privata. 


Lo stesso gatto, seduto con un atteggiamento regale tra un tappeto variopinto e un drappo di tessuto, in un dipinto del 1920, ora in collezione privata. 


Di questo gatto dall'aria battagliera conosciamo il nome, Raminou. 
Sappiamo poi che la sua padrona è la stessa pittrice che lo ha ritratto: Suzanne Valadon (1865-1938).
Probabilmente i due si sono incontrati, agli inizi degli anni '20, nel quartiere parigino di Montmartre, dove, tra vicoli, piazzette e scalinate, i gatti la fanno ancora da padroni (ne ho parlato qui). 
In realtà, non sappiamo come sia cominciata la loro convivenza, ma sarebbe bello pensare che Raminou non sia stato un viziato micino da salotto, ma un gatto di strada e che, come spesso succede negli innamoramenti, i due si siano scelti per somiglianza,  riconoscendo di avere in comune un' indomabile selvatichezza. 
È vero che del passato di Raminou non abbiamo alcuna notizia; conosciamo bene, invece, la vita randagia e senza regole di Suzanne.

Nata in una famiglia poverissima, ha dovuto cavarsela da sola, fin da bambina.
Montmartre dove si è trasferita con la madre, si è adattata, da subito, all'atmosfera di quel quartiere vivace, che mescola casette, botteghe e orti, ai caffè e ai cabaret frequentati da artisti e da borghesi in cerca di emozioni
Sfrontata e sicura di sé, già a dodici anni ha fatto tutti i mestieri, da pasticcera, a fiorista a trapezista da circo. 
Quando circola per la strada, con il suo fisico perfetto, gli occhi azzurri, la pelle di porcellana e i capelli che gli ammiratori definiscono "del colore del cognac" non passa, certo, inosservata. 
I primi a notarla sono gli artisti che hanno i loro studi a Montmartre. A quindici anni comincia a fare la modella per un maturo pittore, Puvis de Chavannes, con cui presto divide non solo l'atelier, ma anche il letto. 
Non è l’unico: da allora le sue relazioni amorose faranno scandalo, dalla storia con Renoir, al tentativo di suicidio per Toulouse Lautrec, alla passione per Eric Satie. 
Ma lei delle chiacchiere se ne infischia e non cambia il suo modo di essere. 
Piuttosto, cambia nome: al lezioso Marie Clémentine, con cui è stata battezzata, sostituisce il più esotico Suzanne, suggerito dalla scherzosa definizione di "Susanna tra i vecchioni" coniata per lei da Toulouse Lautrec a proposito delle sue frequentazioni  di artisti non più giovani. 
Nel 1883 mette al mondo un figlio, che alleva orgogliosamente da sola e a cui dá il suo cognome finché non  sarà riconosciuto, qualche anno dopo, dal giornalista spagnolo Miguel Utrillo. 
E continua intrepida ad andare avanti. 
Per qualche tempo sembra trovare pace nel matrimonio con un ricco agente di cambio. Ma dieci anni di vita tranquilla sono troppi per lei. 
Si annoia e "la noia è come una lebbra": scrive a un'amica. 
Ha voglia di riprendersi la vita e lo fa davvero, nel 1914, quando scappa con un uomo di venti anni più giovane di lei, André Utter, elettricista e pittore a tempo perso. 
Con lui e con il figlio, Maurice Utrillo, anche lui pittore, che, con le sue vedute di Montmartre, guadagna molto più di lei, forma quello che i più malevoli definiscono un "trio infernale", per cui eccentricità, eccessi e notti passate a bere sono un'abitudine. 

Un'esistenza fuori dagli schemi, la sua, in cui, fin dall'inizio, l’unico punto fermo, è stata la pittura: "da sempre ho voluto dipingere per riuscire a fermare la vita"- dice di se stessa. 
E lo ha fatto, trovando la maniera  che più le assomiglia, partendo da quelli che considera i suoi punti di riferimento, Gauguin e Van Gogh.
Negli atelier dei suoi amanti, poi, ha cercato sempre di catturare qualcosa della loro tecnica e del loro modo di dipingere: "ho avuto grandi maestri, da cui ho preso il meglio- ammette- ma da sola ho creato me stessa e ho detto ciò che avevo da dire".
Di tutti gli artisti che ha conosciuto il misogino e caustico Degas, è l'unico che non ha cercato di sedurla, ma che, invece, l'ha incoraggiata, convincendola a dedicarsi esclusivamente alla pittura: "sei dei nostri- pare le abbia detto- e devi pensare solo a lavorare". 
Lui che detesta, come Suzanne, ogni "buonismo" di maniera, le ha fatto il complimento di definire i suoi dipinti "cattivi" per le loro linee dure, i colori stridenti, le superfici piatte, le forme sottolineate da contorni neri e per il loro realismo quasi brutale. 
A Suzanne quella definizione piace e ha continuato a lavorare, con quella stessa "cattiveria", dipingendo tutto quello che ha intorno, a cominciare dai gatti (i suoi primi soggetti) e passando, poi, ai ritratti, ai nudi di donna, alle nature morte.

Dal 1919, il suo modello preferito è Raminou. 
Per lui recupera tutta l'energia e la vivacità della sua pittura come in questo dipinto del 1920 intitolato "Louison e Raminou", ora in collezione privata, in cui il verde dell'abito della donna sembra scelto apposta per far risaltare il rosso del pelo del gatto.


O come in questo con "Miss Lily Walton"del 1922, ora in collezione privata, dove il protagonista  è sempre lui, tanto che, nella stanza scura e ingombra, spicca sulle ginocchia della malinconica modella come l'unico elemento di vita. 


Oppure, quando è raffigurato da solo, come in questo dipinto del 1922, ci guarda imperscrutabile con i suoi occhi dorati dello stesso giallo del panno, su cui è sdraiato. 


Sembra che  Suzanne in quel gatto dall'aria indomita abbia ritrovato un po' se stessa
Ma anche Raminou si sente bene con lei, tanto che, stando a qualche testimonianza dell'epoca, lo si scopre a partecipare, completamente a suo agio, alle innocue quanto chiacchierate eccentricità  della sua padrona, come quella di mangiare caviale tutti i venerdì per onorare il digiuno canonico, o di girare per Montmartre a bordo di una carretta tirata da un asino.  

Intanto gli anni passano e, nel 1932, in questa tela in collezione privata, troviamo un  Raminou vecchio e malandato, che ha perso un po' della sua fierezza, mentre si riposa accoccolato al sole, su un tavolo da giardino.



Sarà il suo ultimo ritratto. 
Anche Suzanne, ormai pittrice nota e apprezzata, si ritira dalle battaglie della vita per offrirsi un'esistenza più regolare e serena.
Forse con un po' di rimpianto per quel periodo, in cui aveva condiviso con Raminou pittura e vita quotidiana, ritrovando in quel gatto tigrato un riflesso del suo stesso desiderio di  libertà. 


In una foto del 1919 Raminou è sulle ginocchia di Suzanne, tra Maurice Utrillo (a sinistra) e André Utter