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sabato 27 ottobre 2012

Hokusai, le "Trentasei vedute del monte Fuji": l'onda e la montagna





Quando, anni fa, sono andata in Giappone, con la sola compagnia delle "Ore giapponesi" del grande Fosco Maraini (ne ho parlato qui) la prima impressione, dall'aereo, è stata quella di isole piatte che fluttuavano su un mare chiarissimo, come zattere, che affiorassero appena, a pelo d'acqua. 
L'unica sagoma che emergeva, in controluce, era quella di un vulcano, il cono perfetto del monte Fuji. 
Un'insieme di linee pure, di contorni netti e definiti. È la stessa visione che mi piace ritrovare nelle stampe dell'artista geniale e travolgente che fu Hokusai (1760-1849).


Qui, il Fuji spicca, al centro della scena, col suo colore di un ruggine acceso, che diventa più scuro sulla cima, in contrasto col bianco immacolato della neve. Il sole illumina le pendici, ricoperte da un fitto bosco di un verde cupo, mentre il cielo azzurro, è solcato da candidi banchi di nubi.

È una stampa della serie delle “Trentasei vedute del monte Fuji”, realizzata da Hokusai tra il 1826 e il 1833, con una tecnica di incisione su legno complessa ed elaborata.
Per lui, fervente shintoista, il Fuji è la montagna sacra, il simbolo di tutto il Giappone. La vuole ritrarre in ogni suo aspetto, a ogni variare della luce e dell'atmosfera delle stagioni.
In primo piano, o lontano sull'orizzonte, gli pare sia lo sfondo perfetto per cogliere i diversi momenti della vita degli uomini, che vivono e lavorano alle sue pendici


Lo stile è quello tipico delle stampe giapponesi: una rappresentazione, ridotta all'essenziale, senza alcun rilievo, dove la linea sola definisce le forme. Il Fuji innevato e illuminato dalla luce di un’alba gelida, fa da cornice alla lenta ascesa, verso un passo montano, di uomini stanchi e cavalli sovraccarichi.






L'acqua placida del fiume contrasta con la massa scura della montagna. Il banco di nebbia che si alza dà l'impressione di lontananza e di profondità. Una barca attraversa lentamente il fiume, mentre un uomo guida un cavallo lungo la riva. L'armonia dei colori della terra, del bianco della neve e dell'azzurro dell'acqua e del cielo, è accentuata da un tocco di blu.

È quel blu, di cui Hokusai si è invaghito, non appena l'ha visto e che usa per la prima volta: il blu di Prussia, appena scoperto e importato in Giappone dall'Olanda.

Nella straordinaria ”Grande onda di Kanagawa” lo scuro del blu di Prussia serve ad accentuare la potenza dell’acqua schiumante che incombe sulle fragili barche dei pescatori. E, sullo sfondo, ancora immutabile il monte Fuji.
Per dare profondità alla scena adotta un'altra novità: la prospettiva, appresa dalle incisioni e dai dipinti di paesaggio che arrivavano, proprio allora, dall'Europa.



Immagini sintetiche, linee nette, colori primari che sanno cogliere la transitorietà e la bellezza dell'attimo, ma anche il profondo rapporto che lega l'uomo alla natura: con Hokusai il paesaggio diventa un genere a se stante. 
La novità dello stile e del soggetto della serie ebbero un effetto folgorante. 
Il successo fu immediato, tanto che l'artista dovette aggiungere subito altre incisioni: le repliche e le imitazioni non si potevano contare.

Fino ad allora, Hokusai era famoso nelle classi più popolari, tra i mercanti, gli artigiani o i frequentatori delle case da tè, ma aveva avuto scarsi riconoscimenti dai pittori più tradizionalisti. Lo consideravano "ignobile e volgare” perché privo di cultura letteraria, tanto che lui stesso, con un pizzico di ironia, amava definirsi "il contadino”.
Ora, invece, le grandi incisioni delle "Trentasei vedute" conquistano tutti. 
Saranno queste a diffondere in Europa il gusto per la pittura giapponese: una rivelazione abbagliante per artisti del calibro di Degas, Monet, Gauguin o Van Gogh.

All'epoca della pubblicazione, ha settantatré anni e, dietro di sé, una vita intensa. Orfano, adottato da un fabbricante di specchi, ha scoperto precocemente la sua abilità di disegnatore. Non ha fatto altro che seguire il suo talento e la sua curiosità insaziabile, costeggiando spesso la miseria, a volte collaborando con grandi maestri, a volte in solitudine. 
Lo spinge avanti l'amore per la vita e la voglia inesauribile di raffigurare, tutto quello che vede: le scene più comuni del quotidiano, i piccoli episodi di tutti i giorni, così come i ritratti delle geishe, degli attori di Kabuki o dei lottatori di sumo.
Una produzione sterminata, la sua: migliaia di opere di tutti i generi, dalla pittura, alle incisioni, ai libri illustrati, ai raffinati biglietti di auguri.

È un inquieto e il suo desiderio di scoprire cose nuove lo porta a viaggiare per tutto il paese: come "artista errante" comincia ad appassionarsi, sempre di più allo spettacolo grandioso e continuamente mutevole della natura.
Lo stupore, con cui guarda il mondo, non lo abbandona mai.
Nulla sfugge ai suoi occhi: la sua passione è osservare tutto, la sua ossessione dipingere e restituire, nelle sue opere, la bellezza di quello che lo circonda. 
Non fosse che un istante, come questo, col fulmine che colpisce, d'improvviso, le pendici del Fuji.


Dopo aver percorso tante strade, aver tanto lavorato ed essersi firmato con centinaia di pseudonimi diversi, sembra aver trovato, finalmente, quello che più lo rappresenta.
Sceglie di chiamarsi “Gakojin, pazzo per il disegno
Pazzo per il disegno e per la vita, in ogni suo aspetto.

Scrive nella prefazione alle "Vedute":
”…Solo ora, a settantatré anni, ho capito, pressappoco, la conformazione degli animali, delle erbe, degli alberi e degli uccelli, dei pesci e degli insetti; a ottant'anni avrò fatto progressi ancora maggiori; a novanta penetrerò il mistero delle cose; a cento raggiungerò il grado puro della meraviglia; a centodieci, nella mia opera, tutto, anche una semplice linea o un punto, sarà una cosa viva…”
Il suo cammino non è finito. Non si sente mai realizzato e continua ad andare avanti e a disegnare, finché ne avrà forza.
Nel 1848, a ottantotto anni, scrive di nuovo: “Se il cielo mi desse ancora cinque anni di vita, potrei diventare un grande pittore”.

Il destino gliene darà uno solo.
Morirà, nel maggio dell’anno successivo, dopo avere composto il suo ultimo haiku:
Anche solo come anima, staccata dal corpo, me ne andrò, per diletto, sui prati d'estate”.




Tutte le immagini delle "Vedute" sono bellissime: non mi stancherei mai di guardarle. QUI è il link con l'intera serie. E questo è un video sulla serie.