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lunedì 10 agosto 2015

Tra luce e colore: il viaggio di Delacroix in Marocco




L'11 gennaio del 1832 una spedizione diplomatica guidata dal conte de Marny parte da Tolone a bordo della nave "La Perle" alla volta del Marocco: la Francia ha appena conquistato l'Algeria e il re Luigi Filippo vuole intrattenere col Sultano marocchino rapporti di buon vicinato.
Alla missione partecipa un giovane che non ha niente a che fare con la diplomazia: è un pittore di trentaquattro anni,  già considerato come uno dei principali esponenti del movimento romantico e che solo due anni prima ha fatto discutere tutta Parigi con la presentazione del suo dipinto "La libertà che guida il popolo". 
È Eugène Delacroix (1798-1863)


Quel giovane dagli occhi e dai capelli neri, che si ritrae con un'aria da avventuriero, viene descritto dai suoi compagni di viaggio come "qualcuno che ha del talento, dello spirito e un eccellente carattere
In realtà, dietro quell'aspetto un po' sfrontato, si nasconde un temperamento di ferro, "una passione immensa, raddoppiata da una volontà formidabile", come dirà di lui, qualche anno dopo, Charles Baudelaire.
Delacroix, approfittando di qualche conoscenza, si è imbarcato in quella spedizione con un grande entusiasmo: da un po' di tempo aveva voglia di lasciare Parigi e - lui che in genere preferisce la vita casalinga e il lavoro nel suo studio - ha deciso di intraprendere quel viaggio per visitare quello che chiama "l'Oriente mediterraneo" di cui sognava da anni.

Fin dal loro sbarco a Tangeri, i diplomatici e il loro seguito sono accolti con un susseguirsi di ricevimenti, di cerimonie o di spettacoli equestri. 
Gli spostamenti, però, non sono di tutto riposo: si viaggia in carovana a cavallo a a dorso di cammello e spesso ci si deve accampare dove capita.
Delacroix non si lamenta mai dei disagi: è di una curiosità insaziabile e tutto per lui è fonte di meraviglia.
Appena arrivato, appunta nel suo diario:"Mi sento stordito da quello che vedo: è come se stessi sognando". 
Quel favoloso Oriente, che tante volte aveva immaginato, si rivela ora ai suoi occhi come un mondo di incanti: "il pittoresco qui abbonda - racconta - è un luogo fatto per i pittori...La bellezza è dappertutto, non la bellezza raffigurata nei quadri alla moda, ma qualcosa di più semplice e primordiale".
Le sensazioni che prova sono tante e, da pittore qual è, non ha altro modo per fermarle che riempire, uno dopo l'altro, i piccoli taccuini che ha portato con sé e che non abbandona mai.



In quei piccoli quadernetti (il più grande è alto circa 20 cm) disegna tutto quello che vede e consegna, giorno per giorno, le sue impressioni, descrivendo i paesaggi, le strade sassose, l'abbigliamento degli uomini e delle donne o i particolari delle architetture delle case.
Disegna dappertutto in pagine confuse, in cui accumula piccoli schizzi e scritte che integrano i disegni, in un disordine che tradisce tutta la sua eccitazione.
A volte lascia una pagina bianca, a volte riempie anche i margini, a volte gli capita di tenere il taccuino al contrario.



Non smette di disegnare nemmeno quando è a cavallo: ha trovato la maniera di fissare il taccuino alla sella e, in quella scomoda posizione, continua a scrivere, anche se con una scrittura un po' tremolante e a eseguire i suoi schizzi con la paura di lasciarsi sfuggire anche un solo particolare e il timore che qualcosa, comunque, resti fuori: "Come potrò rendere - scrive- questa strana sinfonia di profumi, questi sentori d'ambra, di chiodi di garofano e di spezie, queste fragranze che si sovrappongono?".
La sera, con calma, completa gli schizzi, dà una risposta alle domande sui nomi o sui luoghi che si era appuntato e colora i disegni ad acquerello.
Oppure traccia su fogli di album più grandi qualche scena che vuole riprodurre con maggior cura, come le corse con i cavalli che lo appassionano e che considera una manifestazione di coraggio e di vitalità


  
Gli abitanti di quei luoghi, con i loro caffettani o i loro turbanti lo esaltano per la loro bellezza pura e senza affettazioni, per la loro fierezza e per la loro dignità. Tanto che gli sembra di riscoprire tra la gente che incontra per strada, più vera e autentica, l'essenza stessa della classicità;
"Qui è bello come ai tempi di Omero - spiega -...Roma è qui" e aggiunge: "mentre camminano per le strade, questi uomini hanno l'aria di consoli romani, di Catone o di Bruto e non gli manca nemmeno l'aria sdegnosa degli antichi padroni del mondo"




Delle donne ammira la bellezza ombrosa e, quando può, disegna i loro voliti, gli abiti o i gioielli



Ma quello che , soprattutto, lo impressiona è la luce, una luce nitida e chiara a cui non era abituato, una luce che rivela la natura dura e aspra del paesaggio del deserto, dove "perfino l'ombra prende dei riflessi turchesi"



Cinque mesi dura il viaggio e sette sono i taccuini che Delacroix riempe (di questi ne sopravvivono ora solo quattro: uno al Musée Condé a Chantilly e gli altri tre al Louvre).
Quando torna a Parigi, teme che i suoi schizzi, spontanei e frettolosi, saranno "come alberi sradicati dal terreno che occupano" e che finiranno per diventare solo l'eco di un ricordo.



Si inganna. Il futuro lo smentirà, perché proprio in quei taccuini troverà, da allora in poi, la sua fonte di ispirazione: in quei mesi passati in Marocco la sua visione dell'arte è profondamente cambiata. 
Prima di lui l'Oriente, pur tanto alla moda, era trattato nei dipinti del tempo come un decoro da teatro. 
Grazie ai suoi schizzi Delacroix crea un nuovo vocabolario che conferisce alle sue ambientazioni un nuovo spessore e una profondità fatta di osservazioni di vita vissuta.



E, poi, ci sarà un'altra importante conseguenza: la luce e il colore entreranno prepotentemente nelle sue opere.
Fin dai primi giorni del viaggio, quello che chiamava "il piacere dell'aria e della luce" lo aveva obbligato, già nei suoi schizzi, a schiarire la tavolozza e a inserire il colore. Non tornerà più indietro.
Com'è stato notato, dopo il suo soggiorno in Marocco, nei suoi quadri "il sole caccia, una volta per tutte, le ombre fumose del romanticismo"
Il suo destino d'artista sarà, dunque,  legato a quella luce abbagliante e a quei colori intensi, che studierà nei loro effetti ottici e che cercherà costantemente di riprodurre.
Saranno quei colori che lo faranno diventare, come afferma Cézanne, "la più bella tavolozza di Francia", rendendogli, da pittore a pittore, uno degli omaggi più sentiti e ammettendo che "noi dipingiamo tutti grazie a lui".