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mercoledì 2 giugno 2010

Esercizio di stile (2007) Di me non sai

Quello che so di me l’ho scoperto negli ultimi anni.
Prima non mi conoscevo.
Ero un’estranea.

Non sono mai stata problematica nell’accezione assoluta del termine.
Ero semplicemente insoddisfatta.
Mi sentivo in credito col mondo, credevo di meritare il meglio pur non facendo nulla per guadagnarmelo.
Ero convinta che mi spettasse di diritto. Non sapevo cosa significasse realmente sacrificarsi, sudare, aspettare un cenno, sentire i brividi ascoltando il mio nome pronunciato ad alta voce.
Ero ferma, ad aspettare che il mio destino si compisse, che qualcuno decidesse per me.

Immobile. Indecisa. In balia degli eventi.
In ogni sguardo, gesto, parola, cercavo di riconoscere un segno, di capire se era la direzione giusta da seguire.

E non mi muovevo, per non sbagliare.
Quell’immobilità mi rendeva infelice.
Avevo la sensazione che non avrei mai risolto niente.

Un giorno, non so più nemmeno come, ho letto nella luce del mattino che qualcosa stava cambiando.
E ho iniziato a correre.
Non sapevo né quanto avrei corso né dove stavo andando ma sentivo che avrei dovuto continuare a farlo, per riprendere il ritmo che avevo perso.
E non mi sono più fermata.

martedì 1 giugno 2010

Esercizio di stile (2008) about me

Il tempo è immobile, se nessuno ti aspetta, se non c'è una casa dove fare ritorno.

Vagavo col pensiero stringendo tra le dita una tazza di caffè
e guardavo distrattamente oltre il vetro, sulla strada.
Al semaforo scattò il rosso, le macchine si fermarono e una folla
ordinata sfilò lenta davanti alla caffetteria.
Slow motion
Pensavo che in pochi secondi ci si incontra e scontra su un marciapiede.
Si dividono solo pochi metri di asfalto e magari non ci si incontra mai più
Vite diverse, pianeti lontani, ognuno un universo.
Migliaia di combinazioni. Infinite possibilità.
Ero partita senza conoscere la destinazione finale,
la sola intenzione era lasciare il mio dolore lontano,
prima di tutto era necessario il viaggio
Una sorta di catarsi
Dovevo elaborare, assimilare, metabolizzare,
nel mio modo, con i miei tempi.
Delimitare i confini, mantenere la giusta distanza,
difendermi da ciò che non potevo combattere nè cambiare.
Era un viaggio salvifico
Cambiare vita per riprenderla in mano.
E una volta giunta a destinazione avrei capito,
sarei riuscita a risolvere questioni sospese e sarei andata avanti con la mia vita.
Avevo la profonda convinzione che una partenza
senza una meta precisa
potesse essere l’impulso per sbloccare
quel dolore inespresso e riuscisse a svincolarmi da una serie di legami ormai trasformati in zavorre emotive saldate al suolo.

Dopo un mese avevo capito che per quanto possa nasconderti, non puoi sfuggire ai tuoi demoni. Se cerchi delle risposte, prima di tutto devi porti delle domande.

lunedì 31 maggio 2010

Esercizio di stile (2007) #2 onda anomala

Avrei potuto descrivere la mia esistenza come un placido laghetto. Tempi scanditi da cartellini da timbrare, scadenze da rispettare, migliaia di parole, sempre le stesse, e conti da pagare a fine mese. Ero sostanzialmente un'abitudinaria: il decaffeinato al solito bar, la pizza il sabato sera, il cinema con le amiche una volta alla settimana. Un passato di tennista di buon livello mi consentiva di sfoggiare un discreto fisico atletico, e gli occhi, ereditati dalla nonna materna, pur intravedendosi dagli occhiali da vista, avevano una loro ragione d'essere. Ero comunque anonima e conducevo una vita insipida. Uscivo poco, non avevo particolari interessi e spendevo ogni centesimo che guadagnavo nell'arredo di una casa ad affitto bloccato nella zona più signorile della città. La vita sociale era pressochè azzerata dopo il fidanzamento dell'ultima amica "libera" Gli unici svaghi: una biblioteca da fare invidia alla British Library e un televisore al plasma dove rivedevo fino all'ultimo fotogramma i miei serial preferiti. Il carattere riservato non giovava alla causa. La mia più cara amica, e unica confidente, Elisabetta, si era trasferita da un anno negli States con il marito, impiegato in una multinazionale farmaceutica. Gli unici momenti in cui potevo sfogarmi con lei erano di notte, in chat . Mi sentivo sola, e trasparente. Sotto consiglio di una collega, decisi di concedermi un capriccio, un corso di tango argentino. Per dare uno slancio alla mia vita incolore. Alla fine della quinta lezione il tanguero mi chiese di uscire, era un bel tipo, ne fui lusingata, pensai che forse non era stata un'idea malvagia iscrivermi al corso. Alla lezione successiva capii che il seratone col prof era un rito di passaggio dal quale nessuna era uscita immune, ferita nell'orgoglio abbandonai il ballo. Seguì un periodo catartico in cui casa/lavoro/casa era tornato a tutti gli effetti il tema portante della mia intera vita. Elisabetta, per spronarmi ad uscire, suggerì di iscrivermi in palestra, per fare nuove conoscenze; glissai, avevo già dato con l'insegnante di tango, non avevo intenzione di diventare l'ennesima tacca sul letto dell'istruttore di body building. Al lavoro feci amicizia con una nuova collega. Fresca di separazione, era appena tornata nel giro dei single. Un po' di compagnia mi faceva comodo. Una sera mi trascinò a forza all'addio al nubilato di una sua amica. Il programma prevedeva cena e dopocena con strip nel locale più in della città. Fosse dipeso da me sarei rimasta volentieri incollata al mio comodissimo divano in pelle da single, indossando un pigiama antistupro, con una tisana calda in una mano e il telecomando multifunzione nell'altra a consumare uno dei tanti film cult di cui ero appassionata, però quella sera ebbi la sensazione che sarebbe successo qualcosa di imprevedibile, così accettai. Fui convinta ad agghindarmi come se dovessi presentarmi al sultano del Brunei. Quando arrivai all'appuntamento e vidi le altre invitate capii l'andazzo. Non conoscevo la festeggiata, ma la inquadrai dopo il primo giro di bevute. Romina, quello il suo nome, a mio avviso non era la persona più indicata per un vincolo contrattuale come il matrimonio. Quella sera, l'unica volta in cui la vidi, era letteralmente indiavolata. Una bomba ad orologeria, che attendeva solo il momento di esplodere. La collega confermò che non si trattava di un episodio isolato! Dopo aver trangugiato in solitaria una bottiglia di rosso potente Romina sparì con uno degli spogliarellisti ingaggiati per la serata, il fidanzato, a cena in un locale dall'altra parte della città, avvisato in tempo reale dai soliti noti si precipitò nel locale a velocità Mac 2. Quando lo vedemmo apparire sulla soglia del privè ci venne un coccolone di massa. La cercammo in ogni anfratto per evitare una tragedia. Sembrava evaporata, Il fidanzato ci battè sul tempo e la trovò dopo pochi minuti. Era nel bagno degli uomini, abarbiccata al tipo in posizioni non convenzionali. Seguirono insulti, lacrime, schiaffi e il diverbio tra i due maschi sfociò in una rissa il fidanzato minacciò di far saltare il matrimonio, che alla fine seppi si celebrò, solo per non perdere il viaggio in Polinesia, che in altre circostanze nessuno dei due avrebbe potuto permettersi, al ritorno dalla luna di miele ognuno andò per la sua strada; pagando una cifra astronomica e rinnegando tutte le promesse fatte in anni di fidanzamento, ottennero lo scioglimento dalla Sacra Rota e vissero felici e contenti. Alla fine fu comunque un successo. Quella sera, in cui ero uscita controvoglia, avevo assistito a scene degne del più squallido feulleiton, ed era successo veramente di tutto conobbi Flavio e la mia vita cambiò.
Irruppe nel mio placido laghetto con la prepotenza di un'onda anomala e mi travolse come una piccola barca di carta.

venerdì 28 maggio 2010

Esercizio di stile (2007) - Prologo Il pozzo dell'anima

Adriano l'aveva amata subito. Senza volerlo.Colpito e affondato al primo sguardo. Il suo anticonformismo, l'essere così diversa dalle altre donne, e nel contempo così femminile l'avevano colpito; il profilo imbronciato, i capelli spettinati, l'aria insolente di chi non vuole omologarsi alla massa avevano fatto il resto. Il gioco era iniziato strappandole un semplice sorriso per trasformare un caffè in un aperitivo, al quale era seguita una cena ed un dopocena e le loro vite, così diverse e così lontane, erano diventate un mutuo per una casa, una macchina più grande e viaggi intorno al mondo. Non era servito un anello, neppure un contratto. Era bastato uno sguardo, incrociato nella calca del metro un mattino, sceso alla stessa fermata, cercato con frenesia sulle scale mobili e perso nella nebbia di un inverno troppo caldo per essere chiamato con quel nome.Quello stesso sguardo ritrovato in un bar e trattenuto con tutta la forza e con la complicità di una battuta stupida, per accendere il sole sul suo viso. Un tacito accordo sancito dal primo sorriso. Nove anni di progetti, di sogni condivisi. Come una maratona. Vittoria correva la vita e Adriano cercava di starle dietro. Il destino aveva giocato loro lo scherzo più crudele, anime gemelle sì, ma asincrone.Col tempo Adriano aveva iniziato a perdere colpi, ad avere il fiatone. Non aveva più voglia di correre. Troppi compromessi, troppe rinunce.Tutto passa, recita un vecchio adagio, e la fiamma di uno sguardo, diventata fuoco di passione, si era trasformata lentamente in brace di silenzi. Quella storia, sulla quale infondo nessuno avrebbe scommesso, finì in un momento, nello stesso modo in cui era iniziata. Fu profonda tristezza e poi rassegnazione, mai, neanche per un momento, mancanza d'amore. Vittoria era un' assolutista, troppo radicata alle sue convinzioni, con lei non c'era possibilità di discutere. Mai. Conosceva una sola verità: la sua. Adriano aveva sognato una vita diversa, vedeva un futuro diametralmente opposto. Nessuno dei due intendeva cedere il passo. In seguito avrebbero cercato mille parole per giustificare la rottura, per dare un senso a quella separazione, come se volessero definire le cose per renderle reali, perchè quando una storia finisce ci deve essere sempre una ragione. Decisero di usarne solo due: divergenze inconciliabili, seguendo la migliore tradizione divorzista statunitense. Vittoria, senza proferire parola, accettò quel destino come una punizione per un peccato da espiare. Ad Adriano, inerme davanti a quella potente barriera emotiva creata dal silenzio, non restò altro che piegarsi. Non c'era più tempo per nostalgie e ricordi, una volta definita la situazione patrimoniale ognuno avrebbe raccolto le sue cose e preso la propria strada. Adriano ripensò a quello sguardo, in quel passato così lontano... Sorrise al ricordo e il cuore sembrò avere un sussulto Come se mancasse un battito. Gli avevano insegnato che l'amore aggiusta tutto. Per loro non era stato così. L'amore non era bastato.

lunedì 1 marzo 2010

alter ego



C'è un posto, in fondo all'anima.
Una stanza dove ho chiuso a chiave i respiri, gli sguardi e tutte le parole.
Non quelle pronunciate,
ormai impresse in questa memoria inossidabile,
quelle sospirate, trattenute, sognate, negate
rimaste appese alle labbra.
In questa stanza ho fermato il tempo,
ti ho bloccato
e posso toccarti
sei reale.
Vedo i sorrisi, e le lacrime
i gesti, le espressioni,
il genio,
e tutto quello che ho immaginato
sento la voce,
le dita lievi sulla tastiera,
lo sguardo fisso sullo schermo,
le cose che non dici,
che non scriverai,
che sento urlare dentro
che leggo in te...
Sei il demone che alberga in me.
Sei chiuso qui, nascosto nel profondo,
inprigionato
non riesco e non voglio mandarti via.