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venerdì 28 gennaio 2022

Spiedini di pollo in salsa teriyaki

Questi spiedini di pollo sono molto gustosi e di veloce preparazione, sempre che si abbia un po' di tempo per lasciarli marinare nella salsa. La carne di pollo risulta morbidissima e saporita e si può accompagnarla con un contorno a piacere come carote glassate, riso pilaf o noodles.

 SPIEDINI DI POLLO MARINATI IN SALSA TERIYAKI
adattamento di una ricetta di Laboratorio Cingoli, Milano

Ingredienti per 2 persone, circa 8 spiedini
350 g di filetti di petto di pollo (li compro in Esselunga)
50 g di salsa di soia
un pizzico di sale (regolarsi in base alla sapidità della salsa di soia)
1/2 cucchiaino di zucchero
2 cucchiaini di paprika dolce
2 cucchiaini di curry
qualche rondella di peperoncino rosso, del tipo poco piccante
1 spicchio d'aglio, tagliato a fettine
1 pezzo di radice di zenzero, grande quando un pollice, pelato e grattugiato

olio di girasole q.b.

Per guarnire
prezzemolo tritato q.b.
3 foglie di menta triate

Contorno
3 cespi di bok choi (cavolo cinese)
un filo d'olio evo
sale

Procedimento
Mettere in acqua fredda 8 spiedini di legno.
Tagliare in due longitudinalmente ogni filetto di pollo. In una ciotola, riunire la salsa di soia, il sale, lo zucchero, la paprika, il curry, il peperoncino, lo spicchio d'aglio a fette e lo zenzero grattugiato. Mescolare brevemente e aggiungere il pollo, mescolando bene per rivestire ogni pezzo con la marinata. Lasciare riposare in frigo almeno 1 ora (va bene anche una notte). Trascorso questo tempo, infilzare a "zig zag" due striscioline di pollo su ogni stecco, eliminando l'aglio. In una larga padella, scaldare un filo d'olio di girasole. Mettervi a rosolare gli spiedini, cuocendoli per circa 10 minuti; girare e cuocere per altri 10 minuti. Se dovesse avanzare un po' di marinata, versarla sul pollo in cottura. Alla fine, il pollo dovrà presentarsi rivestito da una glassa scura e saporita. Servire spolverando con un mix di prezzemolo e menta tritati  e un contorno a piacere.
Io li ho serviti con del bok choi preparato in questo modo: lavare i cespi con cura; tagliare i gambi a striscioline e lessarli, in acqua bollente leggermente salata, per circa 4 minuti. Unire anche le foglie, cuocendole per 1 minuto. Scolare e ripassare brevemente in padella con un filo d'olio extravergine.












venerdì 10 luglio 2020

Zuppa inglese

Questa versione della zuppa inglese e' un po' diversa da quella che preparavano in famiglia la mia mamma e la nonna. La loro era composta da strati di savoiardi (imbibiti nell'alchermes) intervallati da crema pasticciera e crema pasticciera al cioccolato, mentre questa e' formata da un guscio di savoiardi che racchiude solo la crema. La parte "cioccolatosa" consiste in una leggera salsa al cacao che viene fatta colare sui bordi del dolce.  Gustata ben fredda e' una vera golosità. Il procedimento l'ho preso dal sito della scuola di cucina di Giuliano Cingoli, dimezzando le dosi della crema pasticciera perché volevo un dolce di piccole dimensioni. Ho pero' lasciato identiche le quantità della salsa al cioccolato e devo dire che ho fatto bene,  poiché l'ho usata tutta senza sprechi. 
In precedenza, stante la mancanza dell'alchermes, ne avevo fatto una versione aromatizzata con del vin santo; molto buona pure quella ma meno scenografica.

NB Una bella disquisizione sulle origini della "zuppa inglese" la potete leggere qui sotto, alla fine della ricetta.

ZUPPA INGLESE
adattamento di una ricetta di Giuliano Cingoli

Ingredienti per 4 persone
stampo da pudding, capacità 400 ml circa, diametro 12 cm nella parte più larga

4 o 5 savoiardi sardi
100 g di liquore alchermes
50 g di acqua

Per la crema pasticciera
250 ml di latte fresco intero
1/3 di baccello di vaniglia (o la scorza di 1/2 limone, non trattato)
3 tuorli
75 g di zucchero semolato
10 g di amido di mais
10 g di farina 00
un pizzico di sale

Per la salsa al cioccolato
30 g di cacao amaro
30 g di zucchero semolato
4 cucchiai di acqua +  altri 50 g

Procedimento
Preparare la crema pasticciera. Prendere il pezzetto di baccello di vaniglia; tagliarlo in due longitudinalmente e prelevare la polpa con la lama di un coltello. Mettere polpa e bacca in un pentolino con il latte; portare ad ebollizione; spegnere il fornello e lasciare in infusione 10 minuti. Nel frattempo, in un altro pentolino, mettere i tuorli, lo zucchero, le polveri e il sale. Mescolare accuratamente con un frustino, fino a formare un composto denso ed omogeneo (più e' denso meno fa grumi). Diluire con il latte, versato piano piano attraverso un colino. Mettere sul fuoco e portare lentamente al punto di ebollizione, mescolando costantemente con la frusta. Appena si cominciano a vedere le prime bolle, abbassare al minimo la fiamma e cuocere la crema per 5 minuti. E' importante seguire questo passaggio o la crema prenderà un gusto di farina cruda poco piacevole. Trasferire  il pentolino con la crema in un bagnomaria freddo (io lo metto nel lavandino riempito di acqua gelata). Mescolare spesso, finché la superficie della crema diventa lucida (altrimenti, raffreddandosi, farà una pellicola opaca in superficie); togliere il pentolino dal bagnomaria; versare la crema in un contenitore a chiusura ermetica e conservarla in frigo fino a che sarà ben fredda.
Preparare la salsa al cioccolato. In un pentolino, versare il cacao e lo zucchero e mescolarli intimamente con un frustino. Aggiungere 4 cucchiai di acqua fredda e, mescolando di continuo su una fiamma bassa, lasciare che si sciolgano. Unire 50 g di acqua e portare la salsa al primo bollore, sempre mescolando. Spegnere e lasciare raffreddare.
Assemblaggio della zuppa inglese.  Foderare lo stampo con della pellicola alimentare (ciò aiuterà l'operazione di sformatura). Versare in una fondina l'alchermes e l'acqua. Tagliare i savoiardi all'altezza dei bordi dello stampo. Intingerli man mano nella bagna, su ambo i lati, e disporli lungo i bordi dello stampo con la parte arrotondata verso il basso. Ricoprire in questo modo anche il fondo. Mettere la crema pasticciera al centro, chiudendo con altri savoiardi imbevuti nella bagna. Con l'aiuto di una spatola di silicone, scostare i savoiardi inzuppati dal bordo della ciotola, facendoci colare dentro la crema al cioccolato, in modo che foderi in maniera non uniforme la parte esterna del dolce. Cospargere con ciò che resta della crema anche i savoiardi che coprono lo strato di pasticciera. Sigillare lo stampo con un po' di pellicola e far riposare il dolce in frigo per 24 ore. 
Servizio. A tempo debito, togliere lo stampo dal frigo e levare la pellicola in superficie. Capovolgerlo sul piatto di portata, eliminando la pellicola che rivestiva lo stampo. Decorare a piacere.








Aggiornamento del 26 giugno 2021
Ho rifatto la zuppa inglese rimodulando le dosi per 8 persone, stampo da pudding

savoiardi sardi q.b.
Per la bagna
133 g di liquore alchermes
66 g di acqua

Per la crema pasticciera
340 ml di latte fresco intero
1/2 bacca di vaniglia
4 tuorli
100 g di zucchero semolato
13 g di amido di mais
13 g di farina 00
un pizzico di sale

Per la salsa al cioccolato
40 g di cacao amaro 
40 g di zucchero
5 cucchiai di acqua + altri 60 g circa di acqua

Procedimento come sopra.





Dal sito della rivista La Cucina Italiana, riporto qui l'articolo di Sabina Montevergine sulle origini della zuppa inglese.



La pista ferrarese.  A rivendicare la paternità della zuppa inglese è innanzitutto Ferrara. Si dice che il dolce nacque nel XVI secolo alla corte degli Estensi, come rielaborazione del trifle inglese, da cui il nome. Inizialmente i cuochi avrebbero sostituito la pasta di pane con la bracciatella, sorta di ciambellone. Poi, nel Settecento, arriverà il pan di Spagna. Che, a dispetto del nome, è di origine italo-francese e a sua volta si ispirava ai savoiardi, spesso utilizzati anch’essi proprio nella nostra zuppa inglese. A quell’epoca, poi, la crema pasticciera e il cioccolato avrebbero progressivamente sostituito la panna. 

La governante di Firenze. Secondo un’altra tesi la zuppa inglese nacque nell’Ottocento in Toscana, per merito della governante di una famiglia inglese residente a Firenze. La donna avrebbe preparato una “zuppa” con i biscotti avanzati ammorbiditi nel vino dolce, aggiungendovi crema pasticciera e budino di cioccolato. 

L’alchermes, ingrediente antico. Qual è la verità? Proviamo a indagare. Come nota Giovanni Ballarini, dell’Accademia italiana della cucina, la presenza dell’alchermes – e, in qualche caso, del rosolio – “supporta la tesi rinascimentale, perché sono entrambi di origine medievale. Gli infusi di fiori erano già di gran moda nel Basso Medioevo. L’alchermers, invece, è probabilmente successivo alla riapertura delle vie commerciali con gli Arabi, da cui si importava l’ingrediente che lo rende rosso: la cocciniglia (“al quermez”). Nel Rinascimento furono noti e molto usati, ma mantennero la loro importanza fino al 1800, soprattutto a Firenze”. Riecco dunque che torna in gioco la pista toscana. Rafforzata dalla diffusione dell’alchemers in tutto in Centro Italia, visibile ad esempio nella versione umbra delle frappe. 

La distinzione dell’Artusi. A raffreddare questa pista però ci ha pensato Pellegrino Artusi, che nella sua opera La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, fa una distinzione tra la ricetta toscana e quella emiliana. “In Toscana – ove per ragione del clima ed anche perché colà hanno avvezzato così lo stomaco, a tutte le vivande si dà il carattere della leggerezza e l’impronta, dov’è possibile, della liquidità – la crema si fa molto sciolta, senza amido né farina e si usa servirla nelle tazze da caffè. Fatta in questo modo riesce, è vero, più delicata, ma non si presta per la zuppa inglese nello stampo e non fa bellezza”. Dunque l’Artusi sembra suggerire una differenza sostanziale tra la crema toscana e la zuppa inglese. Forse perché la Toscana è anche la terra della zuppa del duca, antico dolce senese che qualcuno vorrebbe addirittura come antenata del tiramisù oltre che della zuppa inglese. 

La tesi del Ballarini.  L’accademico Giovanni Ballarini suggerisce dunque di cercare le origini della zuppa inglese in Emilia. E, più precisamente, nella Parma di Maria Luisa d’Austria, all’inizio dell’Ottocento. Credenziere di corte era allora il romano Vincenzo Agnoletti. Che, magari sotto l’influenza di antiche ricette rinascimentali tosco-emiliane, mise a punto una “zuppa inglese” dove compariva tra gli ingredienti il rum, il tipico liquore dei marinai inglesi. Nella sua opera, il Manuale del cuoco e del pasticciere di raffinato gusto moderno (1832) si parla per l’appunto di “zuppa inglese”, da prepararsi “come il marangone”, ma con l’aggiunta di rum e una meringa come tocco finale, meringa, “candito d’uovo” o marmellata. E che cos’è il “marangone”? Ce lo spiega lo stesso Agnoletti. Si tratta di un antico dolce originario di Mantova, il “marangone alla mantuana”, che si preparava inzuppando i “biscotti delle monache” o il pan di Spagna nel vino o nel rosolio, e facendo vari strati intervallati da mandorle, pistacchi e canditi, con la copertura finale a base di glassa. “Oltre del vino e rosolio, si varia con tramezzare una crema, e qualche marmellata di frutti”. 

Influenze granducali. La ricetta dell’Agnoletti ebbe molto successo, soprattutto in Emilia, ma è anche molto diversa da quella attuale, e il ruolo della crema appare ancora secondario. Ma potrebbe essersi via via rafforzato soprattutto sotto l‘influenza della crema utilizzata a Firenze e in Toscana (non la crema fiorentina, che è un gelato ed è tutt’altra cosa), magari non così “liquida” come lamentava l’Artusi. E con l’introduzione di un più “toscano” alchemers. La zuppa inglese, dunque, è una ricetta tosco-emiliana. Nata a Parma per merito di un cuoco romano che si è ispirato a un dolce lombardo, e poi è stata modificata sotto l’influenza di una più antica ricetta toscana. E con ingredienti nati dalla pasticceria italo-francese come il pan di Spagna (da Genova) e i savoiardi (dal Piemonte): insomma, più che una “zuppa inglese”, una “zuppa italiana“! Della zuppa inglese esistono, in realtà, numerosissime versioni: l’alternativa classica è quella tra savoiardi e pan di Spagna, ma anche tra alchemers, rosolio e rum; poi ci sono quelle che prevedono frutta, fragole soprattutto, come tocco finale in superficie; o perfino quelle con la ricotta. Nel dubbio, gustiamoci una buona coppetta di italianissima zuppa inglese! 


lunedì 24 febbraio 2020

Shortbread (biscotto scozzese)

In questo periodo,  la mia nipotina mi chiede sovente di fare i biscotti insieme a lei. Questa ricetta, oltre ad essere burrosamente buona, e' straordinariamente facile da assemblare, stendere e ritagliare, quindi molto adatta da fare con i bambini. Per le dosi mi sono ispirata a quelle pubblicate dal Laboratorio Cingoli (Scuola di cucina, a Milano), apportando un paio di varianti: ho tritato finemente nel mixer lo zucchero semolato  (Cingoli usa quello di canna) insieme ad  un ingrediente "segreto", ossia un cucchiaino di latte in polvere, che esalta il sapore di burro di questi biscotti. L'invenzione non e' mia ma l'ho vista mettere in pratica in diversi filmati su YouTube. 
Ed ora vediamo di scoprire qualcosa di più su questo biscotto. "Lo shortbread è un biscotto tradizionale scozzese,  solitamente composto da una parte di zucchero bianco, due parti di burro e tre parti di farina di grano tenero. Altri ingredienti come riso macinato o farina di mais vengono talvolta aggiunti per alterarne la consistenza. Le ricette moderne spesso si discostano dall'originale dividendo lo zucchero in parti uguali tra zucchero semolato e zucchero a velo e molti aggiungono una porzione di sale.  Lo shortbread è così chiamato per la sua consistenza friabile (da un vecchio significato della parola short). La causa di questa consistenza è l'alto contenuto di grassi fornito dal burro. Lo shortbread si presenta tradizionalmente in tre forme: 
1) un grande cerchio, che viene diviso in segmenti (code di sottoveste) non appena viene tolto dal forno 
2) biscotti rotondi individuali 
3) una lastra rettangolare abbastanza spessa, tagliata in porzioni lunghe come dita.
L'impasto mantiene bene la sua forma durante la cottura. I biscotti sono spesso bucherellati prima della cottura, di solito con i denti di una forchetta o con uno stampo apposito. ". 
(fonte Wikipedia)


SHORTBREAD (BISCOTTO SCOZZESE)
da una ricetta del laboratorio Cingoli

Ingredienti per circa 18 Shortbread
175 g di burro, morbido
250 g farina 00
75 g di zucchero semolato
5 g di sale fino
1 cucchiaio scarso di latte magro in polvere
zucchero a velo dopo la cottura, a caldo (facoltativo)

Procedimento
Frullare nel robot da cucina lo zucchero con il latte in polvere. In un terrina, lavorare a lungo il burro morbido con questa polvere, utilizzando uno sbattitore elettrico impostato su una bassa velocità. Dopo qualche minuto, aggiungere la farina e il sale, impastando con le mani fino ad avere un panetto liscio e ben amalgamato. Schiacciare l'impasto tra due fogli di carta forno, per  dargli una forma rettangolare con uno spessore di circa 1 cm. Tenere in frigo per almeno un'ora. Trascorso questo tempo, con l'aiuto di un coltello affilato suddividere la mattonella in tanti rettangoli. Pungerli fittamente con i rebbi di una forchetta (o con uno spiedino di legno) e cuocerli in forno caldo a 180°C per 15-20 minuti o fino a che prendono un leggero colore dorato. Appena tolti dal forno saranno ancora un po' morbidi ma raffreddandosi prenderanno consistenza. Ancora caldi, ripassare con un coltello affilato lungo le linee di divisione dei biscotti, in modo da staccarli bene l'uno dall'altro. Una volta freddi, conservarli in una scatola di latta. Sono ancora migliori dopo il riposo di un giorno.
Si possono anche spolverare, appena usciti dal forno, con un po' di zucchero a velo.
Annota bene: oltre che con una tazza di tè, si possono gustare con un bicchierino di Passito, di Porto o con del Brandy o Cognac.





mercoledì 5 febbraio 2020

Risotto al radicchio tardivo e pancetta

Un paio di anni fa comprai un libro piuttosto interessante sul  metodo della "separazione delle cotture" (Cucina Elementare, di Giuliano Cingoli, Hoepli Editore). La tecnica si può applicare a molte preparazioni culinarie, da alcuni tipi di risotto alla cottura (separata) del pesce e della verdura che lo accompagna, per poi riunire tutto alla fine. Leggendo le varie considerazioni dell'autore, mi sono accorta che anch'io, in molti piatti, ho applicato questo metodo proprio in base alle esperienze fatte nel tempo. Un esempio su tutti, la cottura delle scaloppine. Se si rosolano le fettine di vitello per un tempo brevissimo e si mettono poi da parte, per aggiungerle in finale alla salsa  che si avrà avuto tutto il tempo di preparare utilizzando il fondo di cottura delle scaloppine, il risultato finale sarà una carne tenerissima e una salsa dal sapore ben connotato. Nel caso in questione - risotto con il radicchio - la tecnica ha il vantaggio di ottenere un piatto con i sapori e le consistenze ben definite. Infatti, non avrebbe senso cuocere il radicchio con il riso per circa 15 minuti: risulterebbe sempre scotto, insapore e con un colore spento. Nella mia ricetta, che non segue pedissequamente quella dell'autore del libro, ho aggiunto anche un po' di pancetta dolce, che aggiunge sapidità e un certo vigore al risotto.

RISOTTO AL RADICCHIO TARDIVO E PANCETTA



Ingredienti per 2 persone
140 g di riso Nano Vialone Veronese IGP
40 g di pancetta dolce tesa
2 piccoli cespi di radicchio rosso di Treviso tardivo IGP
1 cucchiaio di olio extravergine
1 piccolo scalogno
20 g di burro
2 cucchiai di parmigiano grattugiato
sale
pepe nero dal mulinello

Procedimento
Per prima cosa, avvolgere il burro in un pezzetto di carta da forno e metterlo in freezer fino al momento dell'uso. Lo stratagemma serve ad ottenere, in fase di mantecatura,  una maggiore cremosità del risotto, data dallo sbalzo termico tra il risotto bollente e il burro freddissimo. 
Sbucciare e tritare finemente lo scalogno. Lavare, sgrondare e affettare a rondelle il radicchio. Quando si taglia il radicchio (consiglio di Cingoli), fare rondelle più larghe verso la cima, dove la costa e' sottile e la foglia più ampia; mentre verso la fine del cespo-dove la costa si ingrossa- fare rondelle più sottili. In questo modo, il radicchio cuoce uniformemente. Privare la pancetta della cotenna poi tagliarla a bastoncini sottili. Mettere una pentola d'acqua sul fuoco e, giunta a bollore, salarla. In una padella, scaldare l'olio con lo scalogno tritato. Quando lo scalogno si sarà leggermente appassito senza prendere colore, unire la pancetta e farla dorare leggermente. Alzare la fiamma e far saltare il radicchio per qualche minuto: dovrà rimanere ancora leggermente croccante. Trasferire tutto su un piatto. Non salare per evitare che rilasci acqua di vegetazione. Cingoli, a questo punto, consiglia di aggiungere al radicchio qualche goccia di limone, per rinvenirne il colore. Io non l'ho fatto ma ho sfumato con un goccio di vino bianco prima di togliere la verdura dal fuoco). 
In una casseruola (possibilmente di rame), tostare a secco il riso per qualche minuto. Versarci sopra qualche mestolo di acqua bollente salata fino a ricoprirlo, continuando ad aggiungerne man mano che questa si consumerà. Una volta cotto il riso, aggiungere il radicchio, mescolando per un minuto. Assaggiare e sistemare di sale, se occorre. Fuori dal fuoco, mantecare con il burro freddissimo e il grana, mescolando vigorosamente (il risotto dovrà rimanere un po' brodoso). Profumare con una macinata di pepe.  Far riposare qualche istante e servire.