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martedì 24 settembre 2024 6 vostri commenti

Soli ma in diretta

Viene da chiedersi se ci sarà mai un limite da non oltrepassare in questa società. Tutto ormai fa spettacolo, come se esistesse solamente se trasmesso, postato o ripreso. 

Assistere ad una confessione in diretta di un omicidio come quello in provincia di Modena, mandata in onda come una delle tante ricette dei cuochi di turno. Il giornalista che continua a fare domande senza senso, davanti ad un uomo in evidente stato confusionale.

Mi spaventa sempre di più il vuoto delle emozioni che si coglie. Mi spaventa il vuoto che troppe famiglie devono affrontare, sole davanti a delle malattie devastanti. Fantasmi nelle nostre città che vagano con lo sguardo fisso e il pensiero occupato solamente da una cosa. Donne e uomini abbandonati dalle istituzioni, soli con la malattia. 

E' una società malata che non vuole occuparsi dei malati, non li vuole neanche vedere. 

Li vuole dimenticare. 

venerdì 22 settembre 2023 11 vostri commenti

Storie dismesse



In giro se ne vedono sempre meno. Lentamente le stanno dismettendo.

Testimoni di salvataggi dagli acquazzoni.

Di incontri fugaci o baci rubati.
Di scherzi telefonici.
Di gettoni che cadevano a 200 all'ora come una vincita alla slot machine.
Di sporcizia ventennale.
Di cornette meravigliosamente senza filo.
Di tristi addii ai gettoni .
Di collezione di tessere telecom.
Di gente che bussava alle porte urlando "haiii finitoooo!!!".
Di appuntamenti dati, attesi o bucati.
Quante storie si porteranno via...
lunedì 11 settembre 2023 10 vostri commenti

L'Altro

Ho avuto la fortuna di incontrare ottimi maestri durante la mia vita. Persone che hanno tracciato un sentiero, dove mettere i piedi ben saldi, dove i pericoli vengono superati grazie ad una mano tesa, all'attesa di chi rimane indietro, chi non ce la fa, chi vede il traguardo sempre più distante. 

Sto ancora imparando e cercando di mettere in atto nel quotidiano piccoli gesti di bellezza a partire dall'ascolto. 

Sempre più spesso in ambulatorio mi capita di ricevere persone che, oltre al loro problema specifico dettato dalla disabilità, hanno bisogno di essere ascoltate. Per ciò che sono, per ciò che vivono sulla loro pelle. 

A volte sembrano quasi voler chiedere scusa per questa necessità di parlare, raccontarsi, trovare un luogo sicuro dove ricevere ascolto. 

Il mondo, però, sembra andare in direzione contraria, la fretta e l'individualismo in primis portano le persone a non accorgersi di chi su ha davanti e chiede di essere visto. 


martedì 25 luglio 2023 7 vostri commenti

Che roba Contessa i Lanzichenecchi!!!

E fu così che un giorno di ordinaria contaminazione sociale Alain Elkann scese in mezzo agli altri. Si fa per dire, cose di classe.
Ma che roba Contessa quindi anche i tatuati vanno in prima e disturbano mentre un uomo con un completo di lino blu finisce il secondo libro della Recherche.
Più che un articolo oserei definirlo un pezzo di teatro dell'assurdo.
Il treno Italo, sedicenni in prima classe, Elkann che legge Proust, la tappa a Caserta e nessuno che lo saluta quando va via.
Non c'è più morale, Contessa!!!
giovedì 13 aprile 2023 9 vostri commenti

Il capitalismo non ascolta

Cosa c'è rimasto di umano nei nostri posti di lavoro? La frenesia, i problemi di bilancio, l'avidità, l'individualismo e il classismo occupano le stanze e i reparti indirizzando le relazioni tra le persone. 

Viviamo realtà davvero difficili, non parlo solo della Sanità, settore dove lavoro, ma della maggior parte dei posti. Mi capita spesso, facendo anche il sindacalista, di ascoltare storie di lavoratori stanchi, in preda al burnout, impauriti, legati alla propria professione ma frenati dai continui richiami solo alla produttività, direzione che può portare solo alla scarsa attenzione verso le persone. 

E' un treno impazzito che si sta dirigendo contro un muro alla massima velocità. Spesso ci si sente inermi, accerchiati da chi ha perso, o nn ha mai avuto, l'uso dell'ascolto. Chi da per scontata la presenza delle persone, a prescindere, senza mai un riconoscimento non solo monetizzato ma umano. 

Dicono che mancano i soldi. Però gli stipendi dei dirigenti non si toccano mai. Una crisi pagata, come sempre,  solo da chi sta in fondo alla scala. 

Conosco persone a rischio stipendio che per il bene della propria utenza vanno avanti, convinti di ciò che stanno facendo, del bene che può portare una professione. 

I piani alti però, gli stessi che ci hanno raccontato che le ideologie sono morte, che le classi non esistono, non sanno fare altro che tagliare, licenziare, togliere servizi utili alla società ma poco redditizi. Le Istituzioni sono sorde, si voltano dall'altra parte.

Vi faccio solo un esempio. Sapete chi paga in ritardo i servizi di molte cooperative o enti? A volte non pagando nemmeno. I comuni e le Regioni. 

Una vergogna istituzionalizzata. 

venerdì 3 marzo 2023 5 vostri commenti

Persi

Ricordare.
Dal latino Recordari. Da cor cordis, cuore.
Perché il cuore era ritenuto la sede della memoria.
Ecco.
Lo abbiamo smarrito.
venerdì 15 luglio 2022 11 vostri commenti

La gentil cura

Sempre più spesso mi capita di pensare quanto sia importante durante la giornata incontrare gesti di gentilezza e praticarla al tempo stesso. 

Eppure sono davvero pochi i momenti in cui la incrociamo. 

Oggi in ambulatorio una paziente mi ha raccontato la storia di suo marito, un uomo con un problema visiva da anni, seguito da un medico che sul finire del suo percorso è riuscito a dirgli "lei cosa ci fa qui in ospedale... toglie il posto agli altri". 

La cura non passa solo attraverso le medicine, i protocolli, la strumentazione, una laurea. E' anche ben altro, parole dette pensando che davanti si hanno persone, non numeri, o pedine da spostare. 

Mi pare si stia perdendo la capacità di ascoltare il paziente, di parlare della malattia, di spiegare chiaramente. Accogliere non solo fisicamente ma verbalmente. 

Spesso molti sottovalutano che certe frasi costruiscono già strade per una guarigione, altre invece le distruggono. 

Definitivamente. 


venerdì 8 aprile 2022 28 vostri commenti

Oltre il nero

E' doloroso constatare quanto sia stato facile per molti passare ad un linguaggio di guerra. La semplificazione della sofferenza, la mancanza di pensiero per coloro che mossi dalle strategie del potere o vittime delle stesse perdono la vita ogni giorno. 

Soldati costretti a combattere, altri che fuggono inseguiti dai mercenari, altri ancora che per la disperazione si suicidano. Donne e bambini che devono essere per forza spettatori di una orrenda realtà. La guerra è violenza vera, stupri, perdite umane, mutilazioni, orrori, genocidi e altro, purtroppo. 

Mancano parole di pace e teste pensanti. Siamo accerchiati da piccoli uomini che giocano a fare i generali. In mezzo, come sempre, le persone in marcia verso la pace, profughi che chiedono aiuto. 

Spaventa il far finta che in giro per il mondo non ci siano altre guerra, spaventa la finta accoglienza e quella che discrimina. Le frasi di certi politici che esultano perché la guerra farà bene alle nostre industrie  o chi mette sullo stesso piano la pace e il condizionatore. Per non parlare di quelli che ora dicono di essersi occupati da sempre di chi chiede libertà. 

Si diceva tempi cupi, ma qui siamo oltre il nero. 

venerdì 24 settembre 2021 20 vostri commenti

Piccoli

“Papà oggi una mia amica mi ha detto che non voleva giocare con me..”

“Beh Greta capita”.

“Allora le ho detto… dimmi cosa succede e sistemiamo tutto”.
Ecco. Forse la soluzione è nei comportamenti dei bambini, nella semplicità dei loro gesti, delle loro parole.
La libertà di dire "sistemiamo tutto".
La semplicità di guardarsi negli occhi e dire ti voglio bene, a volte detto solamente da una piccola mano che ne cerca un'altra per passeggiare.
Una corsa senza motivo, non per prendere un autobus o perché si è in ritardo.
Uno sguardo che va oltre grazie ad un'altalena.
Un pianto per un capriccio seguito dalla voglia di fare pace.

giovedì 17 giugno 2021 24 vostri commenti

Discesa

Davvero era necessario pubblicare il video della tragedia del Mottarone? 

Il solo pensiero degli ultimi attimi di vita di quelle persone, quei bambini, mi gela il sangue. Non credo basti  puntare il dito contro la stampa, ma casomai contro una società che pare non darsi più limiti. Un diritto di cronaca che ormai assomiglia più alla spettacolarizzazione del dolore, cittadini che sono sempre più pubblico di reality, affamati di colpi di scena di cattivo gusto. Una quotidianità che si confonde con la fiction, una serie tv interminabile, democrazia a colpi di streaming e televoto. 

Tutto ciò mi fa orrore, mi spaventa per il futuro nostro e soprattutto dei nostri figli. Una discesa che sembra non avere mai fine. 

giovedì 25 marzo 2021 8 vostri commenti

Alla deriva

Ciò che sta succedendo con i vaccini riassume benissimo la situazione della nostra società.

Incapacità organizzativa totale degli amministratori locali e nazionali, incapacità da parte dell'opinione pubblica di spingere per avere chiarezza su un tema così importante, individualismo che prevale sulla collettività, arte dell'arrangiarsi, dell'amico degli amici o del canale preferenziale che permette a qualcuno di avere la dritta giusta per una dose di vaccino.

Spaventa più l'uomo che il virus. 

venerdì 5 febbraio 2021 11 vostri commenti

Quelli nell'ombra

Cè un lato di questa pandemia che pochi stanno prendendo in considerazione. La reclusione forzata dei mesi scorsi, le attività relazionali interrotte o semplicemente la paura del contagio hanno fatto aumentare i casi di tentato suicidio o autolesionismo anche tra molti giovani. 

E' uno dei tanti problemi, però, che il virus ha solamente scoperto. Casi che già prima venivano trascurati dalle Istituzioni. Basti pensare ai tagli che ogni anno le Regioni fanno nel settore della disabilità o nella salute mentale. Situazioni di abbandono sociale che sono sotto gli occhi di tutti, ogni giorno. Prese in carico che vengono effettuate da associazioni che a mala pena riescono a mantenersi a galla. 

Il periodo che stiamo vivendo non ha permesso il nomale svolgere di attività che per molti ragazzi sono vitali, momenti di socializzazione, ascolto e condivisione che permettono spesso un "riabilitazione" e un integrazione a volte sventolata nei grandi congressi, ma dimenticata poi nel momento di reale bisogno. 

Donne e uomini che rimangono nell'ombra, dimenticati. 


lunedì 6 luglio 2020 19 vostri commenti

Differenze


La generazione de nostri bisnonni ha conosciuto la fame vera. 
Quella dei nostri nonni ha fatto la guerra, la resistenza e cacciato il nazifascismo dal paese. 
Quella dei nostri genitori ha lottato per diritti fondamentali, come lo statuto dei lavoratori.
La nostra non riesce a sopportare le code alla posta per i protocolli Covid, non riesce a tenere una mascherina, si lamenta perché per una sola estate dovrà andare un po' meno al mare, litiga per un posto in spiaggia, non concepisce il distanziamento e dopo 4 mesi di lockdown ora torna a dire che il virus non esiste e i vaccini non servono. 
Ma la cosa che preoccupa di più è ciò che stiamo insegnando alla generazione dei nostri figli.
giovedì 20 febbraio 2020 23 vostri commenti

Un terzo


Siamo stati alcuni giorni in mezzo alla natura. Ogni volta mi domando se il modo di vivere che stiamo seguendo sia quello giusto. 
La frenesia dei giorni. Il cartellino che va timbrato all'orario giusto, i nostri ritmi scanditi dalle lancette dell'orologio. 
Questo non vuol dire che chi vive in campagna o montagna, che sia, non abbia scadenze, ma davvero mi pare che solamente l'assaporare il silenzio del bosco, una passeggiata attorno ad un lago, osservare i piedi che passo dopo passo ci portano su un sentiero, ci dia un attimo di respiro in più. 
Le nostre città sembrano impazzite in alcune ore. Traffico in tilt, clacson che suonano senza un senso, autobus che sembrano scatole di sardine. Cantieri perennemente aperti dove lavorano persone segnate dal tempo che dovrebbero già essere in pensione. Colleghi che non ti fanno togliere nemmeno la giacca e sono già pronti a porti un quesito.
Forse è un ragionamento più complesso, che dovrebbe riguardare in generale la nostra società. Passiamo la maggior parte delle ore della nostra giornata al lavoro, almeno un terzo. 
Non ci siamo. 
mercoledì 24 luglio 2019 12 vostri commenti

Silenzio

Ieri ho finito di leggere  "Il silenzio dei miei passi" ultimo libro scritto da  Claudio Pellizzeni, un ragazzo che qualche anno fa decise di abbandonare il lavoro in banca, un bel posto fisso, per fare il giro del mondo vendendo tutto quello che aveva, lottando contro la fatica e il diabete. 
Per saperne qualcosa di più potete fare un giro sul suo blog
Questo è il suo ultimo libro, dove racconta, il suo pellegrinare partendo a piedi da Bobbio in provincia di Piacenza per arrivare fino a Santiago de Compostela. 
Già qui bisognerebbe fare un bel respiro perché si tratta di circa 2000 km
Claudio li ha percorsi tutti in silenzio. 
Ecco.
Non si stratta di un voto religioso ma di un'esigenza di ascoltare e ascoltarsi in una società che ha deciso di sentire solamente e di porsi sempre meno all'ascolto. 
Un libro scritto davvero bene, pagina dopo pagina si ha l'impressione di camminare accanto a lui, partecipando alle gioie, ai dolori e ai momenti di crisi. 
Mi ha sempre affascinato l'idea di percorrere il Camino, anche se so che non è una cosa da prendere alla leggera e col massimo rispetto nei confronti di chi crede nel suo valore religioso. 
Non si sa mai nella vita, quindi lasciamolo lì come possibilità. 
Credo che sia sempre più difficile trovare il silenzio nelle nostre città, se non impossibile, per gustarlo  per pochi attimi a volte basta fare qualche chilometro nell'interno per capire il suo valore e la sua importanza. 
Abbiamo dimenticato l'importanza dell'ascolto, mettendo al primo posto il dover dire per forza, spesso  riempiendo i momenti di pausa dalle parole  aggiungendo solamente del  superfluo.




giovedì 21 marzo 2019 23 vostri commenti

Non era questione di pollici


Non sono così in là con l'età ma ricordo molto bene i racconti di mia nonna, dei miei zii o dei miei genitori.  Una sorta di migrazione del quartiere nell'unico posto dove c'era lei. Signora televisione. Un canale solo, poi due. Prima in bianco e nero e poi verso la fine degli anni 70 a colori. 
Anni in cui la parola social aveva una vocale come finale e il suo significato era quello di entrare in rapporto con qualcuno, in questo caso sempre attraverso un mezzo come quello televisivo. 
Eravamo noi ad andare da lei. 
Non era una questione di pollici, di 4k, di velocità della fibra e di streaming. C'era quello. 
Ho ancora impresso nella memorai fotografica una delle nostre televisioni, arancione e senza telecomando. Era il periodo in cui ti dovevi alzare per cambiare canale e spesso la fatica vinceva sulla poca qualità del programma in onda in quel momento. 
Una sola televisione presente in casa e nella sala dove tutti quanti potevano vederla, il tinello come si chiamava. 
Ricordi che si incrociano, eventi della nostra vita, pubblici o privati, piacevoli o meno che si associano alle diverse televisioni. Quella delle Edizioni straordinarie, delle stragi e delle guerre nel Golfo. Quella dei mondiali vinti e quell'urlo di Tardelli oppure quella delle bandierine che Emilio Fede piazzava sull'Italia continuando a scrollare la testa per la sconfitta di Berlusconi. 
Altri canali.




giovedì 22 novembre 2018 10 vostri commenti

Possiamo non scriverci messaggi?

"Al nostro terzo appuntamento lui mi ha fatto una proposta inattesa: 'Possiamo non scriverci messaggi?'". Questa la prima frase di un articolo apparso sulla rivista New York il mese scorso firmato da Clara Artschwager.
Non vuole essere un elogio ai tempi andati secondo me, ma una riflessione su quelle che erano le relazioni umane. Pensiamo al corteggiamento ad esempio, all'ansia consumata nelle ore che ci dividevano da un incontro, il pensiero alle lancette che scorrevano veloci portandoci alla tanto odiata ora del saluto. 
Una pausa di presenza che ora non è possibile, una vicinanza digitale che rischia anche di confondersi con quella fisica, reale. 
Dovevi dirti tutto e subito, non c'erano prove d'appello, non c'era il messaggio che ti concedeva un'altra chance, ma solo tanti pensieri alla frase detta, ripensamenti o sorrisi che potevano trovare conferma solo il giorno dopo,  corse verso citofoni, pulsanti premuti e una voce, quella di un padre o una madre, che fungevano da spartiacque tra te e la fidanzata.
Per non parlare delle lettere o dei bigliettini, messi negli zaini ritrovati a casa in mezzo al diario, frasi scritte sui banchi cancellate e poi riscritte. Dediche messe nero su bianco nelle pagine dei giorni di festa dove non c'erano i compiti, foglietti ritrovati magicamente sui motorini a volte, per i più romantici, con una rosa. 
Emozioni senza Giga. 
lunedì 24 settembre 2018 14 vostri commenti

Fuori dai gruppi

Non voglio dividere il mondo in bianco e nero, avere una visione manichea, ci mancherebbe anche se a volte nelle nostre considerazioni affrettate il rischio è sempre dietro l'angolo. 
E' chiaro però, in questo momento storico, che sia venuta meno la partecipazione delle persone, l'impegno. 
Servirebbe una macchina del tempo per capire qual'é stato il preciso momento in cui abbiamo deciso di delegare, di non occuparci della cosa pubblica, di non esporci. E' una considerazione che va al di là dell'attuale governo. 
Prendendo in considerazione il mio posto di lavoro, dove negli ultimi anni, grazie all'azione sindacale e non solo, abbiamo ottenuto alcuni vantaggi rispetto ad altri, devo comunque registrare la poca partecipazione alle assemblee e alle iniziative collettive. Vale lo stesso discorso per i movimenti politici. 
Probabilmente c'è stato un momento storico in cui il "noi" è stato sostituito dal'"io", il bisogno individuale che supera quello collettivo, la perdita del movimento di gruppo. Le ragioni davvero potrebbero essere molte. Qualcuno in prima istanza cita il fallimento dei sindacati, l'appannamento della loro missione e la troppa vicinanza della politica. In parte posso anche capire, ma ad esempio anche quando c'era il PCI il sindacato era politicizzato, e di conquiste in quegli anni ne sono state ottenute. Altre teste pensanti evidentemente. 
Paradossale è il fatto che nella nostra dimensione parallela, quella digitale, si cerchi di fare gruppo, socializzare, creare chat in ogni momento per restare in contatto, quando nella realtà invece si cerca l'opposto. 
Lo dico con estrema amarezza perché spesso ormai ci si trova da soli a lottare contro mulini a vento moderni, e alla fine della battaglia poi si presentano orde di personaggi a chiedere conto dell'esito dello scontro. Succede così, purtroppo. 
Davvero il "perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all’azione"? Davvero basta questo? Perché se fosse direi che stiamo affondando da parecchio tempo. 

giovedì 12 luglio 2018 10 vostri commenti

Liberi tutti


Forse la soluzione è questa. Trovare qualcuno ancora disposto a giocare, accoglierlo, tenendo aperte le porte. Dare la priorità al sorriso, alla follia, alle regole inventate, cambiate e ancora una volta ridisegnate. 
Trovare un muro, c'è l'imbarazzo delle scelta, e poi contare, ma non come vogliono tutti, come comandano. Passare dall'uno al cinque per poi tornare indietro e fare un salto in avanti. 
Barare perché no!!! Con la coda dell'occhio cercare di capire se c'è qualcuno dietro a quel muro, se lo vogliamo trovare davvero, oppure fare i conti con il nostro istinto che ci porta a nasconderci con lui, ad essere lui prima o poi. Anche se non lo vogliamo capire, non lo vogliamo ammettere. 
Ascoltare i rumori. Passi veloci, lenti, passi pesanti, che scappano. Porte che si chiudono, chiavi che girano per non fare entrare nessuno, proprio nessuno. 
E l'odore? Perché no. Pochi istanti per tornare a quel profumo di ragù di prima mattina, di minestrone alla sera, a quel dell'arrosto per il giorno dopo rubato dalla pentola di terracotta. Odori che ci rassicurano come il rientro a casa, così prezioso, così unico, spesso dato per scontato. Per molti inesistente. 
Domani sarà il caso di trovare un altro posto. 
Oppure no. 

lunedì 21 maggio 2018 13 vostri commenti

Ritorno al silenzio

Mi capita sempre più spesso di scuotere la testa come segno di disapprovazione mentre leggo notizie o commenti. Oramai siamo accerchiati da commentatori di tutto, paladini delle verità, moralizzatori a trecentosessanta gradi, censori o semplicemente giustizieri. 
Ieri ancora una volta una tragedia familiare. Una donna uccisa, un uomo che getta la propria figlia da un cavalcavia e poi il suicidio. Una storia da brividi colma di tristezza.
Non voglio parlare di questo, non riesco, non posso, ma soprattutto ripeto non voglio. Credo fermamente che davanti a fatti del genere bisognerebbe fermarsi, non dire una parola, ma casomai riflettere e cercare di capire come mai in questa società ci ritroviamo spesso a commentare fatti del genere. 
Viviamo di approcci sbagliati, di episodi che spesso vogliamo immortalare con il nostro cellulare, attimi di notorietà da social network strappata grazie ad un misero commento. 
Ieri ne ho letti tanti, ogni volta mi riprometto di non farlo, poi ci ricasco. Gente che invitava al suicidio, al linciaggio. Persone che dimenticano che spesso la via giusta è quella del silenzio. 
Tutto ciò mi spaventa, devo essere sincero, non lo si scopre adesso ma ogni volta è come ricevere dieci pugni in pancia contemporaneamente. 

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