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venerdì 25 novembre 2016

Il Tiramisù del Cappellaio Matto





Di Micol H.
Traduzione di Eleonora
Foto di Michael

Confesso che seguo la vostra sfida da molto tempo, dai Profitteroles, credo. In silenzio, con l'aiuto del traduttore, ho provato quasi tutte le ricette, seguendo i regolamenti dati. Quella di Susy non ha fatto eccezione.
Anche questo blog lo seguivo con attenzione da tanto tempo, pur non conoscendo ancora Ele di persona, per il legame forte e innegabile che abbiamo tra di noi, anche se l'ho abbracciata per la prima volta a settembre di quest'anno, quando ho accompagnato Michael in India.
Sto divagando, ma volevo in un certo modo presentarmi, perchè gli spiriti che vivono in questo blog sono anche un po' i miei. È di mia sorella Sarah il diario di ricette che Ele custodisce preziosamente, ed era mio cognato quel Bianconiglio che saltella spesso in queste pagine.
Fatta la mia propria introduzione, vorrei dire che questo, più che sexy, è il tiramisù di una donna innamorata. Innamorata di un Cappellaio talmente matto, che è riuscito a farmi convincere da una squadra di blogger a pubblicare questa ricetta. Tanto matto, da riuscire a conquistare un cuore duro come il mio.
E cosa c'è di più sexy di un uomo testardo che sa sempre cosa vuole e come ottenerlo? ;)
Quindi, il legame tra il mio cappellaio, e Johnny Depp, icona sexy del cinema americano, nei panni del cappellaio matto in Alice in Wonderland, non si è fatto attendere. 
Voluttuosa e sexy è la crema al mascarpone e il gianduia che si scioglie in bocca.
Il tiramisù è tondo come gli orologi di cui il personaggio è appassionato e i cuori, che evocano la regina, volendo, potrebbero indicare le ore.
Non ho una grande fantasia. Non mi sento all'altezza della vostra sfida e i vosti capolavori, ma ormai credo che sia troppo tardi per ripensarci.
O no?


Tiramisù del Cappellaio Matto


Per il gianduja di Christophe Michalak
(rende 450 g di gianduia)

150 g di nocciole intere
150 g di zucchero a velo
150 g di cioccolato al latte 40%
1 pizzico di sale

Preriscaldare il forno a 160°C
mettre le nocciole su una leccarda da forno e farle tostare per 10-15 minuti, muovendole di tanto in tanto. Toglierle dal forno e lasciarle raffreddare.
Togliere la pellicina alle nocciole. Grazie alla torrefazione in forno è un'operazione facile. Basta metterle in un panno da cucina e strofinarle tra loro. Non preoccupatevi se ne resta un po'.
In un robot da cucina, mettere le nocciole, lo zucchero e un pizzico di sale. Avviare il robot fino ad ottenere una consistenza cremosa.
Fondere il cioccolato a bagno maria insieme alla pasta di nocciole e mescolare.
Versare il gianduia in uno stampo rettangolare rivestito di carta forno e metterlo in frigo tutta la notte per farlo indurire.
Non lasciatelo alla vista di mariti o compagni, perchè potreste ritrovarvi senza. ;)
Che qui, con la scusa del magnesio...

Per la crema

250 g di mascarpone
2 tuorli
zucchero, pari peso dei tuorli
250 g di panna fresca da montare
30 g di zucchero a velo

Lavorare brevemente con la frusta a mano il mascarpone. Mettere le uova e lo zucchero in una ciotola e metterli a bagno maria. Senza mai smettere di sbatterli, con frusta a mano o elettrica, aiutandovi con un termometro di cucina, portate questo composto a una temperatura di 70°C. Lasciare raffreddare il composto immergendo la ciotola in un un bagno di ghiaccio.  Intanto, montate la panna con lo zucchero a velo, abbastanza ferma, fate attenzione che non diventi burro.
Incorporate il composto di tuorli al mascarpone in modo da ottenere una crema omogenea e poi, delicatamente, con una spatola, incorporare la panna.

Per i cuoricini variegati

100 g di cioccolato bianco
40 g di cioccolato fondente

Fondere i cioccolati separatamente a bagno maria. Su un foglio di carta forno, stendere con una spatola di metallo il cioccolato bianco in uno spessore ci circa 2mm. Colare a filo un po' a caso il cioccolato fondente e con uno stuzzicadenti, fare giri vari in modo da creare l'effetto variegato.
Prima che il cioccolato solidifichi del tutto, sommergere un taglia biscotti piccolo a forma di cuore in acqua molto cada, asciugarlo e tagliare i cuori di cioccolato. Passare le formine su un altro foglio di carta forno delicatamente e lasciarle solidificare fino all'uso.
Fatene sempre di più di quanti ne avete bisogno, alcuni si rompono, e alcuni finiranno irrimediabilmente in bocca, e poi sui fianchi ;)
Nascondeteli bene, fino a che ne avrete bisogno.




Per il montaggio

savoiardi (non ho idea della quantità usata)
caffé espresso forte
la crema di mascarpone
150 g di gianduia (molto a occhio)
una manciata abbondante di nocciole tostate e triturate in granella fine
cuoricini di cioccolato variegati
cacao in polvere

Sul fondo di uno stampo a cerniera di 23 cm, sistemare uno strato di savoiardi imbevuti nel caffé. Coprire con la metà della crema e sparpagliare il gianduia tagliato a pezzi piccoli e le nocciole, cercando di lasciare un centimetro dal bordo. Ricoprite con un altro strato di savoiardi inzuppati nel caffé, mettendoli nel senso inverso al primo strato. Ricoprire con la crema restante. Spolverizzare con cacao amaro in polvere. Decorare con i cuoricini variegati.
Mettere in frigo per varie ore, io l'ho lasciato tutta una giornata. Circa 12 ore.
Al momento di servirlo, aprire delicatamente la cerniera dello stampo e fare scivolare il tiramisù su un piatto o un cartone da pasticceria. Attenzione a non romperlo, il rischio è alto, perchè la crema è molto delicata.



Questa ricetta partecipa fuori gara al MTC 61



martedì 22 novembre 2016

Tiramisù rosa. Di bellezze americane e demonetizzazioni indiane.





 Questo tiramisù ha rischiato di non esserci.
Perchè una volta scelto il tema, approvata l'interpretazione e scritta la ricetta su carta, il Primo Ministro Indiano ha deciso di demonetizzare l'India.
Lo ha annunciato una sera, i biglietti da 500 e 1000 rupie (i tagli più grandi) sarebbero stati illegali a partire da...24 ore dopo! Ciò vuol dire che l'84% della moneta in circolazione è stata bandita da un momento all'altro, in un'economia che vive di liquidità.
Contro il danaro sporco "black money" e il finanziamento del terrorismo. Così dicono.
Bancomat vuoti, banche prima chiuse per giorni, poi aperte con file che non potete immaginare, in una città di 23 milioni di abitanti.
Qualche giorno dopo escono i nuovi biglietti da 2000 rupie. Nuovissimi, fiammanti, tutti ne parlano, esci contento dal tuo bancomat con uno di questi gioielli in mano e... sorpresa! Nessun commerciante te li accetta a meno che tu non lo spenda tutto, perchè i soldi per dare il resto non ci sono.

La farina per i savoiardi, la panna per il mascarpone, il limone, le mandorle e anche lo zucchero si possono pagare con la carta di credito, facendo qualche km in più.
Ma le rose no. 
Men che meno le rose commestibili non trattate.
E neanche l'acqua di rose, volendo rinunciare al colore.

Welcome in India.

Tocca rifare la fila di tre ore al bancomat, con la speranza che non ti tocchi di nuovo la nuovissima banconota rosa. Sì, per di più per volere del fato è pure rosa. Oltre il danno, la beffa.
E se digito 1800 invece di 2000? 
18 banconote da 100 rupie. Una fortuna in questi tempi!
Il tiramisù è salvo, malgrado tutto.
Ma chi vive alla giornata di spiccioli e vendite in contanti, no. Purtroppo.

Ma veniamo a noi.
Per questo MTC di novembre, Susy ci chiede un tiramisù ispirato a un'icona sexy del cinema, o a un film, sempre in chiave sexy. Abbiamo esplorato diverse possibilità: da Aishwarya Rai, la splendida indiana della Maga delle spezie, a Clara Bow; da Grace Kelly, a Mae West, passando per Audrey Hepburn e Marlene Dietrich. Avevamo deciso per quest'ultima e un Black Forest Tiramisù, quando la scena del bagno di American Beauty ci è venuta in mente. 

Ma a parte le rose, presenti in tutto il film, quindi ovvie e scontate, come costruirlo e con che logica?

La scena del bagno di rose di American Beauty, rappresenta la fantasia erotica del personaggio principale, Lester Burnham verso la miglior amica di sua figlia, Angela Hayes, che incarna lo stereotipo della bellezza americana.
La scena raffigura il voyeurismo moderno e lascia che lo spettatore assista in maniera visiva e pratica alla teoria di Laura Mulvey sullo sguardo maschile, attraverso Lester.
Gli effetti speciali, gli inquadramenti, la fantasmagoria, le luci oniriche, sono tutte tecniche che il regista Sam Mendes ha usato per realizzare una delle scene di sogno più elettrizzanti della storia del cinema. L'effetto Bokeh su Angela, più di altri, enfatizza lo stato di sogno di Lester e il senso di passione. Inoltre, quest'effetto, aiuta il publico a comprendere che Lester si trova in stato incosciente, creandogli un stato emozionale di confusione. L'atmosfera di vapore, come se fossero nuvole, rappresenta visualmente il legame stereotipato tra nuvole e sogno.
L'uso del voyeurismo e dello "sguardo maschile" (Male Gaze Theory) è presente in tutta la scena. L'uso della teoria di Laura Mulvey è infatti ciò che procura il piacere visivo al telespettatore: il maschio appare dominante e la femmina accetta di essere l'oggetto di desiderio. Lester mostra tutta la sua scopofilia verso Angela, credendola irresistibile, sottolinendo il fatto di essere un voyeur.
In genere un voyeur ha fantasie erotiche con la persona osservata, ma queste fantasie sono molto raramente consumate. Questo è ciò che Mendes trasmette attraverso questa scena in maniera eccezionale, facendo enfasi nello stato onirico della situazione.
L'uso del voyeurismo e della teoria di Mulvey sono chiavi importanti per la comprensione del film, spiegano al pubblico che Angela è oggetto di desiderio di Lester e che la psiche della libido maschile ha bisogno di un oggetto femminile per riguadagnare il senso di potere, perso durante gli anni di matrimonio con Carolyn.


Infine, il nostro tiramisù è formato da questi concetti:

Le rose: fresche e rosse, presenti in tutto il film come simbolo di passione, lussuria e bramosia.
Le mandorle: dure e a forma di occhio, rappresentano il Voyeurismo e la scopofilia di Lester.
Le albicocche: la pelle, che si vede e non si vede. È liscia, vellutata e giovane come Angela, l'oggetto di desiderio.




American Beauty Tiramisù

Per sei porzioni individuali

Per la granella di mandorle zuccheratta
200 g di mandorle
1 albume
2 cucchiai di zucchero demerara

Per lo sciroppo di rose:
100 g di petali di rose rosse commestibili, fresche, non trattate
750 g di acqua
800 grammi di zucchero

Per la crema al mascarpone
250 di mascarpone (la ricetta, qui)
250 ml di panna fresca da montare, fredda
50 g di zucchero
60 ml di sciroppo di rose
1 bicchierino di kirsch 

savoiardi (la ricetta qui)
250 ml di latte di mandorla (la ricetta qui)
albicocche sciroppate, fatte in casa



Per fare lo sciroppo di rose, bisogna cominciare minimo due giorni prima di fare il tiramisù. 
In una pentola capiente e profonda, si mettono i petali di rosa e si coprono con acqua. Si lasciano nella pentola, coperti, tutta una notte. 
La mattina dopo, si aggiunge lo zucchero e si porta su fuoco dolce, finché lo zucchero si dissolve. Appena lo zucchero si dissolve, si alza il calore della fiamma, si lascia brendere il bollore e si cuoce per due minuti, o fino a 108°C. In mancanza di un termometro, va presa una goccia di sciroppo, premuta da il pollice e l'indice e, se al seprarare le dita si forma un filo, lo sciroppo è pronto.
Si lascia intiepidire e poi si filtra attraverso un panno di musselina. 

Per la granella di mandorle zuccherata, noi siamo partiti da mandorle sgusciate ma non pelate. Quindi, le abbiamo immerse in acqua bollente per qualche minuto, poi abbiamo rimosso la pellicina e poi messe ad asciugare. Una volta ben asciutte, le abbiamo tagliate grossolanamente in granella grossa. 
Poi, si sbatte l'albume, non deve essere montato, ma solo ben spumoso. Nell'albume si immergono le mandorle in maniera da ricoprirle bene. In una ciotola, si mette lo zucchero, si scolano le mandorle dall'albume e si passano nello zucchero. Si inforna in forno caldo a 180°, rimuovendo spesso, fino a doratura. Si lascia raffreddare completamente.

Per la crema, in una ciotola si lavora a mano il mascarpone con lo zucchero, il kirsch e lo sciroppo di rose. A parte, si monta la panna. Con una spatola, con movimenti delicati dal basso verso l'alto, si mescolano il mascarpone e la panna.

Per montare il tiramisù: 
Inzuppare i savoiardi nel latte di mandorla e adagiarli sul fondo del contenitore che avete scelto per la presentazione, sia unico che monoporzione. Sui savoiardi, mettere uno strato di crema, un po' di albicocche sciroppate tagliate a cubetti e un po' di granella di mandorle. Ripetere l'operazione con i savoiardi, la crema e finire con le mandorle. Mettere in frigo per almeno tre ore.
Servire con una rosa commestibile non trattata a modo di decorazione.



Con questa ricetta partecipiamo a quattro mani alla sfida del MTC di novembre, Il Tiramisù




venerdì 24 giugno 2016

Mica pizza e fichi. O sì?





testo di Michael
foto di Eleonora
realizzazione a 2 teste e 4 mani



Un premio per la pazienza, al MTC, lo avete? Me lo meriterei tutto.

Frustrata, come non l'avevo mai vista. Arrabbiata e forse anche un po' triste. La Cenerentola che piange, nel disegno di Francesca Carloni sarebbe potuto essere il suo ritratto.
Per una farina troppo debole, per una pizza "mal riuscita".
-Non te la prendere, ma siamo a Delhi, non a Napoli- le ho detto, per tranquillizzarla.
-E l'MTC è una cosa serissima, ma solo un gioco, non una questione di vita o di morte- ho aggiunto.
Non lo avessi mai fatto.
Non lo avessi mai detto.
Si è impuntata ancora di più. Dovevamo riuscire a fare una pizza in teglia degna di questo nome, come quella di  Antonietta.

Le ho detto "una volta ancora e poi basta, e quella non ha lievitato per niente. 
Pace. 
Pace?
Pace per due giorni.

Poi ha trovato la farina che diceva sulla busta 12% di proteine.
E dai, proviamoci di nuovo. E sbatteva le ciglia, e lì ho capito da chi aveva preso Lolino.
Aveva trovato la farina giusta per fare la pizza.
Come facevo a dirle di no? 
La farina giusta, con il 12% di proteine. Capite?

-Mica pizza e fichi- ha detto
Non so cosa vuol dire, ma non è una cattiva idea, penso. Glielo dico. Mi guarda male. Poi ride. 

Abbiamo impastato secondo la ricetta di Antonietta per la pizza in teglia, che trovate qui
La farina ha preso un poco meno acqua, ma questa volta l'impasto non è venuto liscio come la prima volta. Eppure è stato coccolato su marmo più di 10 minuti, facciamo più di un quarto d'ora.




Tuttavia, all'uscita dal frigo, dove è rimasto circa 5 ore, era liscio.




L'abbiamo lasciato a temperatura ambiente altre due ore.

Poi l'abbiamo steso e, a differenza dell'impasto precedente, questo non era affatto appiccicoso, anzi, si lavorava benissimo. Nessuno strappo. Perfetto.

Lo abbiamo messo in teglia, stavolta di 30 cm, ancora due ore, senza coprirlo, ha lievitato bene, credo, ma la superficie si è seccata.



L'abbiamo condita con

300 g di scamorza (produzione locale)
50 gr di Blue Stilton sbriciolato
qualche fico secco, tagliato a metà sull'asse orizzontale



Acceso e riscaldato il forno come indicato da Antonietta. Infornato per 20 minuti, poi abbassato il ripiano per qualche minuto ancora per far colorire la parte di sotto.

Il risultato è questo. Sinceramente non ho ancora capito se è da considerarsi pizza ao focaccia, ma al mio palato è sembrata semplicemente buona. Buona la consistenza, non gommosa, né troppo croccante e buono l'insieme dei sapori.






Lei è finalmente (quasi) soddisfatta.

-dovremmo provare a fare quella al piatto- dice

È lì che nella mia testa imploro gli dei indiani tutti che questa sfida finisca presto. E invece l'allungano di un giorno.

Ma due bagles, no?

Mica pizza e fichi.



Con questa ricetta partecipiamo al MTC di giugno, La Pizza.



domenica 22 maggio 2016

Opium Yak Cheesecake. (halavi)






Lo so, mi si stava aspettando al varco :))
E che ho conti in sospeso con questa simpatica coppia, vincitrice dello scorso MTC.
Ma quando ho visto che Fabio e Anna Luisa proponevano il cheesecake dolce e salato ho avuto un attimo di panico. Detesto le gelatine.
Credo che sia l'unica cosa che non è mai entrata nella mia cucina. Né quella animale, né quella a base di pesce. È più forte di me.
Una volta tratto il sospiro di sollievo al sapere che non era obbligatorio l'uso di questa sostanza, mi sono messo a studiare. E come all'università, più stimi il professore per la sua sapienza, più studi per fare bella figura. ecco, è quello che è successo a me per l'MTC di maggio. Credo di non avere mai studiato talmente un piatto e fatto così tante prove in tutta la mia vita.

Perché non usare l'agar agar? Ditemi quello che volete ma l'agar agar non è lontanamente paragonabile alla colla di pesce in quanto a consistenza finale. Il risultato non sarà mai cremoso, ma più duro e rigido, va benissimo per gelificare, ma, a mio avviso, non per dare struttura a una crema come quella del cheesecake, che deve sciogliersi in bocca. E poi, mi crediate o no, io del agar agar ne sento il sapore, ma si sa, ho un palato delicatissimo, tanto da sentire le differenze tra un miele di tiglio di pianura e uno di montagna... 
Ci sarebbero anche gli amidi, di mais, fecola di patate, mi dice la socia. Non sono convinto. Li uso quelli, ma per questa preparazione in particolare, la consistenza "farinoso" e il retrogusto astringente che avrebbero apportato, avrebbe rovinato la delicatezza del sapore finale. Scartati anche quelli.
-Rimane l'oppio- dice lei con un sorriso di quelli che dopo mezzo secondo si trasformano in risata e mi ricordano ogni giorno perché sono qui. La prima cosa che penso è che, ancora una volta, mi sta prendendo in giro.
Mi sbagliavo.
I semi bianchi del papaver somniferum sono usati nella cucina indiana, soprattutto in Bengala, come addensante. Messi a bagno in un liquido e poi frullati o semplicemente polverizzati, danno quella cremosità caratteristica alle loro salse. Dovevo provare. 
Ho fatto molte prove, anche perché insieme a tutto avrei usato anche un formaggio a pasta molle, il Nak, che avrebbe contribuito alla struttura finale e dovevo tenere in conto che i semi di papavero bianco, conferiscono un certo lieve aroma di noce/nocciola che non volevo che predominasse e, magari che si sentisse poco e niente. Ho dovuto giocare sulle quantità e sui sapori del topping e della base per arrivare all'equilibrio che volevo, di sapori e consistenze.

Gli ingredienti e le tecniche sono fusion, un po' di qui, un po' di lì.
La nota francese c'è sempre, non posso pensare altrimenti.
Adesso vi lascio la ricetta perché, inspiegabilmente, ho tanto sonno... 
Le foto sono di Ele, ovviamente




 Opium Yak Cheesecake


Per 10 mini cheesecakes da 5 cm di diametro

per il topping:
1 cucchiaio d'olio
400 g di cipolla rossa
1 spicchio d'aglio
4 grammi di sale
50 ml di  Coteaux du Layon AOC (vino bianco liquoroso)
2 chiodi di garofano
2 bacche di ginepro
3 rametti di timo fresco
200 g di confettura di amla

per la base:
100 g di pasta sfoglia
10 g di semi di sesamo
10 g di semi di papavero blu
60 g di burro


per la crema al formaggio:
150 g di Nak (formaggio di yak a pasta molle)
200 g di cream cheese di yak fatto in casa
150 ml di panna fresca vaccina
1 cucchiaio di semi di papavero da oppio (papaver somniferum)

germogli di cavolo rosso e ravanello, per decorare.






Mettere i semi di papavero bianchi a bagno nell'acqua almeno quattro ore prima.
Iniziare con il topping. Scaldare l'olio in una pentola abbastanza grande e cuocerci dentro le cipolle, che avrete affettato sottilissime e l'aglio tritato con il sale, fino a che abbiano rilasciato i loro succhi e siano tenere. In un pezzo di mussolina, mettere i rametti di timo, il ginepro e i chiodi di garofano e aggiungerli in pentola insieme al vino e la confettura di alma. L'amla è un frutto alla vista simile all'uva spina, ma più grande, che fresco ha un sapore molto acido, astringente e dolce-amaro. L'ho scelta per dare equilibrio non solo al topping, ma all'insieme. 
Lasciate cuocere a fuoco molto lento durante una mezz'ora.
Rimuovere il pacchetto di mussolina, lasciar intiepidire e poi mettere in frigo fino all'uso. Deve avere un'aspetto di marmellata.
Per la base, accendere il forno a 175°. Stendere la pasta sfoglia a un'altezza di mezzo centimetro e infornarla per 15 minuti o fino a doratura. Lasciar raffreddare completamente e sminuzzarla e mischiarla con i semi in una terrina. Con il burro, legare di nuovo tutto insieme.
Dividere la pasta in porzioni e premerla contro il fondo degli stampi da mini cheesecake. Refrigerare per almeno un'ora.
Per la crema al formaggio di yak, tagliare il Nak a pezzetti piccolissimi, scolate e frullate bene i semi di papavero bianco con la panna, filtrate. Scaldare la panna fino a ebollizione e gettarci i pezzetti di formaggio, sbattere energicamente con la frusta fino a che il Nak si sciolga completamente. Spegnere il fuoco e aggiungere anche il cream cheese. Omogeneizzare con un frullatore a immersione e riempire gli stampini da cheesecake, versando la crema sulla base fino all'orlo.
Laciare in frigo per un minimo di otto ore in modo da lasciarlo solidificare.
Con delicatezza, rimuovere i cheesecake dallo stampo e guarnirli con la "marmellata" di cipolle e i germogli.

Il formaggio di latte di yak è dolce in maniera disarmante. Ha un sapore latteo delicato totalmente differente da quello di mucca, pecora o capra. Possiede note erbacee complesse che durano in bocca in un crescendo per poi lasciare un retrogusto di latte ed erba con note dolci e saporite. Il resto, ve lo lascio immaginare.




Smile and Say Cheese!



venerdì 20 maggio 2016

Cream cheese di yak. Se la vita ti dà latte di yak.. (halavi)




Se la vita ti dà latte di yak, tu facci il formaggio, 
ma senza limone.



Di Michael
Foto di Eleonora

François Driard è un un esperto fromagier francese, che si è ritirato sulle montagne dell'Himalaya nel 2015 e ha cominciato pian piano a fare formaggi di ogni tipo. Di latte di mucca, e di yak allevati al pascolo.
Il ricchissimo latte di yak, conosciuto nella regione per il suo grande valore nutrizionale, è trasformato a quasi 4000 metri di altezza in formaggi come Tomme, Serding e il loro esclusivo Nak, che amo particolarmente, per la discreta maturazione e per essere ricco e cremoso al palato con un tenue sapore affumicato.
L'ho chiamato per chiedergli se poteva farmi del cream cheese di yak, ma giustamente ha detto che una piccola produzione non avrebbe potuto avviarla solo per me.
Allora, dopo qualche giorno di studio in rete, tra formaggi, cagli e batteri, e dopo varie prove con latte e panna di mucca, gli ho chiesto se poteva inviarmi del latte di yak non omogeneizzato o più semplicemente un paio di kg di panna di yak.
Non so che idea si sia fatto di me. Ma li ha mandati. Latte e panna, entrambi.

In genere i formaggi che si fanno in casa sono formaggi di yogurt come il labneh o cagliate fresche,  tipo fromage blanc, usando succo di limone o aceto come caglianti. Ne ho fatti spesso ma stavolta ho voluto sperimentare qualcosa di diverso, usando la coltura mesofita, a base di lactococcus lactis.
Bene, vi dirò che è tutto un'altro sapore, tutta un'altra consistenza e le prove sono valse tutte la pena.

Il formaggio così ottenuto è kosher, halal, adatto a vegetariani e crea dipendenza. 


Cream cheese di yak


Ingredienti per circa 250/300 grammi di cream cheese
(la quantità può variare leggermente di volta in volta)

1 litro di panna fresca (io, crema di latte di yak)
1/8 di cucchiaino di coltura mesofila 
sale, al gusto (opzionale)

vi serve anche:
 -un pezzo di stamigna o in suo difetto un pezzo di mussolina, un panno da cucina molto sottile e pulito o un pezzo di vecchio lenzuolo di lino, pulito.
-un contenitore di vetro capiente, con coperchio




Prima di tutto una raccomandazione: il contenitore deve essere di vetro, se volete il migliore dei risultati. Nel contenitore, versate la panna o la crema di latte. Cercate di usare la migliore che trovate in commercio, la più fresca. Delicatamente, mescolarci la coltura mesofila e chiudere leggermente il coperchio, assolutamente non ermeticamente e lasciarlo a temperatura ambiente per 8 a 10 ore. Il tempo in realtà può essere di più o di meno, dipende dalla temperatura della vostra cucina. Sarà pronto, quando avrà coagulato e sembrerà di una consistenza tipo di yogurt. 
A questo punto, mettere la crema densa nella stamigna, chiudere bene, con un nodo forte in modo da contenerlo il più possibile e lasciarlo un minimo di 12 ore a sgocciolare. 
Io l'ho annodato a un cucchiaio di legno che ho appoggiato su una ciotola e messo a sgocciolare in frigo. Più tempo sgocciola, più il vostro cream cheese sarà sodo.
Non so cosa sia successo, ma l'originale è di una colorazione più gialla di come sia uscito in foto.

Consigli: 
-Se avete dimenticato il vostro formaggio più tempo a cagliare o sgocciolare, non preoccupatevi, l'unica cosa che può succedere è che sia un poco più acido.
-Non buttate il siero. Può servire per fare tantissime cose, come impasti lievitati, muffins, torte e tanto altro.
-La coltura mesofita si vende online, accertatevi di comprare però quella adatta al tipo di formaggio che volete produrre. 
-Le stesse dosi si possono utilizzare per normale cream cheese vaccino.



Say Cheese :)




domenica 10 aprile 2016

Buon viaggio goccina di pasta sablé! (ricetta halavi)




Poco tempo a disposizione prima della partenza.
Un clima non adatto ai biscotti. Quaranta gradi all'ombra o anche di più.
Avevamo messo le mani avanti, avvisando che, forse, non avremmo potuto partecipare.
Poco tempo per pensare una ricetta di farcia, troppo caldo per immaginare una glassa. 
Poi diciamolo, i biscotti non sono il nostro forte.

In realtà non abbiamo fatto nulla di speciale.
Solo una semplicissima sablé alla vaniglia, usando la ricetta di Leonardo di Carlo, che trovate da Dani e Juri. L'unica differenza è che abbiamo usato solo vaniglia e, su consiglio di Dani, per sfidare il caldo indiano, dopo il riposo di 12 ore in frigo, abbiamo sbriciolato la pasta nella planetaria, azionandola pochi secondi con la foglia, in modo da ottenere un impasto malleabile ma ancora freddo. Questo procedimento lo abbiamo fatto quattro volte, mantenendo il resto in frigo.


Abbiamo voluto, tuttavia, con biscotti semplicissimi, raccontarvi una storia, la storia di una goccina, tratta dal libro "Bon voyage petite goute" di Anne Crausaz. Uno dei libri preferiti di Lolo e Sébastien.



Buon Viaggio Goccina




Il gatto mi ha lasciata sola, sul fondo della sua ciotola. Ho deciso di partire.





Grazie al sole, sono diventata leggera.
Così leggera che ho preso il volo verso il cielo, come il vapore del té caldo



Sono andata ad abitare in una nuvola, Pronta per un lungo viaggio.
Faceva così freddo che sono diventata goccia d'acqua.
Il vento mi ha portata molto lontano e molto in alto.
Poi la nuvola si è fermata e non si è più mossa. Io, goccina d'acqua sono diventata...



...un fiocco di neve.



Mi sono posata e al primo raggio di sole sono diventata di nuovo goccia d'acqua


Sono scivolata sui petali, rimbalzata sulle foglie e ho continuato la mia strada.
Ho visitato le profondità della terra



E sono uscita lì, dove il ruscello nasce dalla fonte.
Sono passata per il torrente, la cascata, il fiume.
Ho visto il girino diventare rana,
e ragni camminare sull'acqua.
Ho visto gli uccelli dei fiumi e degli stagni




E son finita per arrivare al mare.
Ho salutato i miei amici delle profondità e sono risalita in superficie.



Poi di nuovo in una nube...era così carica che si muoveva con lentezza
e alla prima collina, si è aperta.



Io, goccina d'acqua, sono caduta sul dorso di una strana pietra...



Una pietra che mi aspettava, credo!



Io non so dove vai e se tornerai,
so solo che sarai sempre qui, o forse lì.

Buon viaggio Goccina!





Testo di Anne Crausaz, tradotto dal francese
Disegni e foto: Burro e Miele.


Partecipiamo a quattro mani al MTC di aprile
(solo perchè non possiamo farne a meno, ormai)



mercoledì 16 dicembre 2015

Il Kouglof: ricetta, origini e storia







Kouglof, kugelhopf, gugelhopf, gugelhupf, kuglòf, bàbovka o babka.
Sono tutti i nomi che designano la stessa preparazione lievitata, con uva passa e mandorle originaria secondo alcuni credono in Austria o, secondo altri, in Alsazia.
Gli storici della cucina fanno fatica  a ricostruire la storia di questo dolce, perché prima del secolo XIX esistono pochissimi scritti che ne fanno menzione. Tuttavia, è certo che il Kouglof con la sua forma moderna esisteva già nel secolo XVIII, data degli stampi più antichi che sono stati ritrovati, oggi conservati al Museo Unterlinden a Colmar.
Per molto tempo, il Koulglof è stato il dolce delle feste, confezionato per Natale, Pasqua, la vendemmia, matrimoni, nascite e così via, fino a diventare ai giorni nostri di consumo quasi giornaliero o almeno, la colazione domenicale preferita degli Alsaziani.
Quel che sembra, però, è che la sua storia rimonti ancora più indietro nel tempo, tra il XVI e XVII secolo, tempo in cui la pasta lievitata arricchita di burro e zucchero cominciava a spandersi per l’Europa e prendeva in ogni paese svariate forme, come il Panettone in Italia, la brioche in Francia o il babka slavo.
La versione di questa torta nella regione teutonica tra l’Alsazia fino all’Austia, è proprio il kugelhopf. In quell’epoca e in quella regione pasticcieri e panettieri erano in gran maggioranza ebrei, quindi esiste la probabilità che sia una creazione ebraica e la certezza che la comunità della zona lo adottasse come proprio, tanto da non concepire, ancora ai giorni nostri, una colazione di Shabbat in Alsazia senza Kouglof.
La nuova pasta piena di burro risultava più delicata della pasta di pane e non poteva cuocere direttamente sul suolo dei forni a legna, per cui si pensò di metterla in piccoli contenitori di terracotta chiamati kugeltopf (kugle significa palla e topf, vaso) che producevano una torta tonda a forma di palla alla quale la versione moderna deve il nome. Il problema fu che la pasta di questo dolce fosse molto densa e che lo zucchero la facesse imbrunire in cottura molto rapidamente per cui il centro restava crudo il più delle volte, con un esterno quasi bruciato. Questo problema è stato risolto utilizzando uno stampo con buco in mezzo, conosciuto come cappello del turco o testa di turco, uno stampo di terracotta dall’interno smaltato e con un tubo nel centro. Posteriormente i ceramisti aggiunsero la forma scanalata in modo da esporre ancora più pasta al calore e dare al dolce la sua forma tipica di turbante.
Gli ebrei della zona che va dall’Alsazia fino a Vienna che non conoscevano ancora la Challah est-europea, adottarono il Kougelhopf come dolce favorito, sia nella maniera alsaziana con poco zucchero, che in quella austriaca molto più dolce.
Dai tredici ai sedici centimetri di altezza, il kouglof sposa oggi giorno la forma del suo stampo classico in terracotta smaltata, semplice o colorata e decorata, a forma di tronco di cono e con scanalature curve. Sempre spolverizzato di zucchero a velo e spesso decorato con mandorle pelate e intere sulla cima o con filetti di mandorle tutt’intorno, è un dolce fine, croccante fuori e morbido all’interno.

Ho seguito la ricetta di Chritophe Felder, maestro pasticcere Alsaziano




 Kouglof Alsaziano


 Dal libro "Pâtisserie", di Cristophe Felder

Ingredienti per due stampi da 12 cm di diametro o 600 grammi di pasta
(io ho usato un solo stampo da 20 cm di diametro)

50 g di uva passa

1 cucchiaio di rum scuro

per il lievitino:
10 g di lievito di birra

35 g di acqua a temperatura ambiente

50 g di farina di forza

per l’impasto:
225 g di farina di forza

1 uovo intero

125 g di latte a temperatura ambiente

40 g di zucchero semolato

1 cucchiaino di sale

65 g di burro morbido, a temperatura ambiente


per lo stampo:
10 g di burro fuso

50 g di mandorle sfilettate

zucchero a velo, da spolverare

La sera prima, lasciare l’uva passa a macerare nel rum, in un piccolo contenitore a temperatura ambiente.
Per preparare il lievitino, versare l’acqua e il lievito in una ciotola, aggiungere la farina e impastare con una spatola fino ad ottenere una palla solida e liscia. Mettere questa palla sul fondo della ciotola e coprirla con i 225 g di farina e lasciar lievitare.
Intanto, preparare lo stampo imburrandolo con il burro fuso con l’aiuto di un pennello e spolverizzandolo da tutti i lati con i filetti di mandorla che dovranno attaccarsi ai lati e al centro dello stampo.
Quando la farina sul lievitino avrà formato delle crepe, aggiungete l’uovo, il latte, lo zucchero, il sale e il burro. Impastare fino a che la pasta ormai liscia, morbida ed elastica, non si attacchi più al bordo della ciotola e alle dita e aggiungere quindi l’uva passa sgocciolata, impastare ancora un po’ per distribuire bene l’uvetta.
Lasciare lievitare la pasta nello stampo fino a che si sia formata una piccola cupola che sorpassi il bordo di un centimetro scarso.
Mezz’ora prima della cottura, scaldate il forno in modalità statica a 180° per una ventina di minuti.
Sformare immediatamente all’uscita dal forno e lasciarlo raffreddare completamente prima di spolverizzare lo zucchero a velo.

mercoledì 8 luglio 2015

Coleslaw, la ricetta originale da New York






Ne sono sempre andata matta. Ammetto che quando vivevo in Costa Rica, andavo al KFC solo per il coleslaw, l'insalata di cavolo originaria di New York.
Per anni ho cercato di riprodurlo in tutti modi, per intuito, o con le mille e una ricette dei blog americani, ma non sono mai riuscita ad igualarlo, fino a che mi hanno dato questa.
La prima volta che l'ho provato non ci credevo. Era proprio lui, quello vero. Quel sapore agridolce, equilibrato che solletica le papille. Se non fosse che gli ingredienti non erano perfettamente triturati da una macchina industriale, avrei pensato ad un inghippo.
Niente inghippo. Michael ha vissuto vari anni a New York prima di trasferirsi in Israele e tra i suoi bagagli, tra le altre cose, si è portato anche questa ricetta.
Dopo qualche tira e molla con l'amico gelossissimo delle proprie ricette, sono riuscita ad averla e poi anche il permesso di condividerla su Burro e Miele.
Il nome  coleslaw deriva dall'olandese Koolsla, che vuol dire insalata di cavolo. Kool vuol dire cavolo e sla è l'abbreviazione della parola salade. Quando gli olandesi hanno fondato la città di New York, tra la fine del XVII e l'inizio del XVII secolo, portarono con loro le ricette tradizionali, tra cui quella dell'insalata di cavolo crudo fredda, che nel tempo si è trasformata in quel che è oggi, un misto di verdure condite con maionese, latticello o crema acida, zucchero e aceto.



Coleslaw


Ricetta di Michael Meyers (GRAZIEEEEE!)

Per 10 porzioni

1 cavolo cappuccio, privato della parte più dura
2 carote medie
1 cipolla bianca tritata finemente
60 g di zucchero
60 ml di latte*
60 ml di latticello*
100 ml di maionese (io fatta in casa)
2 cucchiai di succo di limone
1 cucchiaio e mezzo di aceto bianco
mezzo cucchiaino di sale






Il cavolo e le carote devono essere tritate molto finemente, devono avere una grandezza tra il riso e il couscous per intenderci, anche se si possono anche grattuggiare, ma la sensazione finale non sarà la stessa. Io ho usato il mixer, pochi secondi in varie volte con poca quantità di verdura dentro.
Una volta triturati cavolo e carote, si mettono in un'insalatiera (non di plastica) e si aggiunge la cipolla, mischiando bene. A parte, mischiare fino ad amalgamare il resto degli ingredienti e versarli sulle verdure e mescolare bene il tutto .
Coprire l'insalatiera e lasciare riposare in frigo per un minimo di 3 ore, ma meglio se tutta una notte prima di servire. Il riposo è importantissimo, anche se la tentazione di mangiarla subito a cucchiaiate è forte.

*La ricetta credo che la si possa rendere parve, utilizzando una parte di latte vegetale e un'altra parte di latte vegetale fatto riposare con del succo di limone o aceto, ma sinceramente sono sicura che andrebbe a discapito del sapore originale.

giovedì 16 aprile 2015

Torta del mio giardino (pan di spagna con crema di labne infusa al gelsomino)




Riprendo lentamente a vivere.
Ritrovo l'equilibrio.
E tornano le idee.
Complice l'aria di Meknès in questi tempi. Complice anche il giardino che mi regala limoni da cogliere e usare subito e gelsomini commestibili e non trattati. 
Ultimamente la mattina mi sveglio molto presto. Non sono mai stata del tipo che rimane a letto, no, una volta sveglia devo alzarmi. In punta di piedi, per non svegliare nessuno.
Alle cinque del mattino mentre il muezzin canta l'Adan, io sorseggio il primo caffé aprendo la finestra sul mondo. E il profumo del gelsomino a quell'ora invade tutto, battendo persino gli aranci amari, anche loro in fiore. Nel silenzio della casa è l'ora in cui le idee e i pensieri escono a giocare nella mia testa. È a quell'ora che ho creato nella mia testa questa torta, ispirando il profumo dei fiori.

Sebbene ispirata alla perfezione lineare e alla bellezza naturale delle "torte nude" o Naked Cakes molto in voga negli USA soprattutto come torte nuziali, ho personalmente voluto dare a questa torta un aspetto il più rustico possibile, anche nella scelta degli ingredienti. Sappiate che i tagli imperfetti del pan di spagna e la crema che fuoriesce qui e lì tra gli strati, sono assolutamente voluti. Così come è voluto l'uso delle uova del contadino di fronte e del labne e la panna freschissimi e di produzione artigianale e locale. Volevo rusticità, genuinità e kilometro meno che zero in una torta asolutamente imperfetta, ma elegante a modo suo.






Torta del mio giardino
(a Km zerissimo)


Ingredienti per una torta di 20 cm di diametro

per il pan di Spagna montato a freddo di Iginio Massari:
(mezza dose)

300 g di uova freschissime
200 g di zucchero
1/4 di limone grattuggiato (ne ho usato mezzo)
150 g di farina bianca 00
50 g di fecola (ho usato amido di mais)

per la crema al labne e gelsomino:

60 ml di latte intero fresco
2 tazze da té piene di fiori di gelsomino freschi* 
400 g di labne appena fatto
100 g di zucchero semolato
150 ml di panna fresca
2 cucchiai di zucchero a velo

zucchero a velo, da spolverare
fiori di gelsomino, per decorare





Per il pan di spagna, nella planetaria montare le uova, la buccia del limone, lo zucchero e il sale per circa 20 minuti a velocità media finché la frusta inizia  a fare dei solchi visibili in superficie. Setacciare la farina con la fecola tre volte e incorporarla a pioggia dolcemente, con una spatola, con un movimento dal basso verso l'alto. Preparare due teglie da 20 centimetri di diametro imburrate e leggermente infarinate e metterci l'impasto. Infornare in forno già caldo a 180°C durante 25 minuti, tenendo il forno semi-aperto con un cucchiaio di legno. Spargere dello zucchero semolato in superficie e sformare quando sono ancora caldi.
Per tutti i trucchi e altre ricette di pan di spagna visitate il blog di Caris.
 Per la crema, portare ad inizio ebollizione il latte, metterci dentro i fiori di gelsomino lavati e asciugati e lasciarli in infusione un paio d'ore. Filtrare con un colino a maglie strette.
Lavorare il labne con lo zucchero semolato e il latte profumato al gelsomino fino ad ottenere una crema consistente ma liscia. Montare la panna con lo zucchero a velo e con una spatola, mescolare delicatamente le due creme, in movimento avvolgente dal basso verso l'alto, facendo attenzione a non smontare la panna.

Una volta raffreddati, tagliare in due in senso orizzontale i due pan di spagna. Sulla prima metà, spalmare la metà della crema, coprire con un disco di pan di spagna, spalmare l'altra metà della crema e coprire con l'ultimo disco e spolverizzare di zucchero a velo. Decorare a piacere con i fiori di gelsomino.
La quarta metà non utilizzata, mangiatela così com'è. È un piacere irresistibile, un pan di spagna morbido e saporitissimo.


*assicurarsi che il gelsomino che usate sia commestibile, o comprare i fiori secchi in erboristeria.




Con questa ricetta partecipo al MTC di aprile 2015, di Caris.