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venerdì 8 maggio 2015

EVENTO 25 APRILE - commento allo spettacolo delle scuole al Teatro Comunale di Sassari



Uno studente tra il pubblico coglie lo straordinario incontro dell'individuo con la storia. L'apatia dei giovani, che per l'abitudine non si accorgono più quanto siano preziose la libertà e la giustizia, si trasforma in consapevolezza di fronte agli eventi che li pongono davanti alla scelta di difendere una terra, una cultura e i suoi valori. 


Il giorno 24/04/15, insieme agli studenti della classe VB chimica, mi sono diretto al teatro comunale di Sassari, per assistere ad un’opera teatrale, organizzata da nostri coetanei per celebrare l’anniversario della liberazione dell’Italia: festa della liberazione e giorno della Resistenza, un giorno che si celebra ogni 25 aprile. Un giorno importante per l’Italia, simbolo di vittoria militare e politica, operata dalla Resistenza delle forze partigiane contro i nazi-fascisti.
L’8 settembre 1943, dopo l’annuncio dell’armistizio con gli anglo americani, i tedeschi prima alleati, diventarono subito nemico da combattere: e qui viene il ruolo dei partigiani uomini e donne, che decisero di opporsi per liberare la loro terra.
Ed eccoci al teatro comunale; il sipario si apre e le luci si spengono: l’opera sta per iniziare. Dopo qualche sistemazione di microfono ed altro, un gruppo di ragazzi fanno ingresso sul palcoscenico, accompagnati da applausi, fischi ed urla da parte del pubblico.
È iniziata la rappresentazione con l’obiettivo di denunciare il crimine fascista e di riportare alla memoria l’uccisione del deputato parlamentare Giacomo Matteotti, in quanto aveva denunciato brogli e violenze alle elezioni del 1924. Lo spettacolo mi è sembrato di una noia mortale, forse perchè non avevo elementi tecnici per poterlo apprezzare. Esce di scena il primo gruppo e viene sostituito da un gruppo di ragazze, che rappresentano il liceo Azuni di Sassari. Inizio già a gradire lo spettacolo: più movimento e meno parole. Ma la domanda che continuo a pormi è: cosa c’entra il ballo presentato dalle belle ragazze con la Resistenza? Intuisco che è dedicato alla donna partigiana, e ha lo scopo di riportare alla memoria il ruolo della donna durante la guerra. Ma ancora rimango senza risposte chiare, insomma nell’incertezza.
Ma non appena mi distraggo, il microfono viene assegnato ad un altro ragazzo, dalla statura bassa e il carattere bizzarro, sembra un comico, invece NO, si presenta come cantante: avevo intuito male. Il piccoletto si rivela con una voce suadente, piena di energia. E i fotoni di quella luce si propagano in sala trasportando energia. Ed ecco l’esplosione della gioia in quella sala. Sento come se fossi venuto qui esclusivamente per sentirla, mi son sentito immerso in quella voce, come d’Annunzio riesce ad aderire con tutti i sensi e con tutta la vitalità alla natura, sino a confondersi con essa. Le canzoni vengono presentate come canto popolare partigiano Anti-fascista. Una mi colpisce particolarmente.

Una mattina mi son svegliato
O bella ciao, O bella ciao, bella ciao ciao ciao
Una mattina mi son svegliato
Ed ho trovato l’invasor

O partigiano porta mi via
O bella ciao, O bella ciao, bella ciao ciao ciao
O partigiano portami via
Che mi sento di morir

E se io muoio da partigiano
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In verità ascoltandola mi sento un partigiano, pronto a combattere il male, pronto a mettermi in sella e combattere i draghi, come farebbe d’altronde Don Chisciotte. Mi immagino in Siria, in Iraq a parteggiare contro l’Isis. Non sopporto l’idea che la verde bandiera dell’Islam venga macchiata di sangue da questi assassini. Non sono in me in questi momenti, possibile che questi siano momenti più realistici della vita di tutti i giorni?
L’opera si conclude con le parole di Antonio Gramsci:
“Odio gli indifferenti, credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti”.
“Vivo, sono partigiano, perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”
Allora penso ai miei fratelli in Palestina; quando avranno anche loro un 25 aprile, anche da loro si potranno cantare canzoni popolari partigiane.

Mohammed Arrach


domenica 8 settembre 2013

8 Settembre 1943


8 Settembre 1943, l'armistizio
armistizio.jpg (10479 byte)



8 settembre 1943, una data fatidica per l'Italia. La data dell'annuncio dell'armistizio con gli Alleati e della fine dell'alleanza militare con la Germania, ma anche la data della dissoluzione dell'esercito italiano e della cattura di centinaia di migliaia di militari, a causa della mancanza di precise disposizioni da parte dei Comandi militari. La data dei primi episodi di Resistenza contro i tedeschi (a Roma, a Cefalonia, a Corfù, in Corsica, nell'isola di Lero), ma anche la data della frettolosa fuga del Re e dei membri del governo Badoglio a Brindisi (senza un piano di emergenza e senza disposizioni ai militari), che però servì ad assicurare la continuità dello Stato italiano nelle regioni liberate del Sud. C'è chi, come Galli Della Loggia, a proposito dell'8 settembre, ha parlato di "Morte della Patria", e chi, come il presidente Ciampi, ha replicato che quel giorno è morta una certa idea di Patria, quella fascista, e ne è nata un'altra, quella democratica.




http://www.storiaxxisecolo.it/Anpi/iosonoultimo.htm

«Ai ragazzi dico questo. Pensate le cose impensabili. Si può sopravvivere a una guerra. Si può saltare un cancello alto alto con delle lance acuminate in cima e resistere a un tempo che vuole scambiare la giovinezza con la fame e la morte. Si può scappare dai campi di concentramento in Germania usando un filo di ferro. Si può ritornare a casa quando tutto sembra distrutto e perduto e ricominciare da capo. E sapere, sul treno di ritorno, con le macerie che passano dai finestrini, che a casa ti stanno aspettando tua moglie e tua figlia».
Ferruccio Mazza, Ferrara, 1921, operaio

da "Io sono l’ultimo. Lettere di partigiani italiani" - Einaudi


A sessant'anni da Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana di Malvezzi e Pirelli, Einaudi propone una nuova emozionante antologia: la piú grande epopea della nostra storia raccontata dalle voci dei suoi ultimi protagonisti.
"Io sono l’ultimo. Lettere di partigiani italiani " è curato da Stefano Faure, Andrea Liparoto e Giacomo Papi.

Oltre cento lettere piene di amore, amicizia, di odio e violenza. Un indimenticabile racconto corale sul fascismo, la libertà e la democrazia. I partigiani, prima di tutto, erano giovani. Si innamoravano, scoprivano di avere paura e coraggio. 

In queste lettere, raccolte con la collaborazione dell'Anpi, i testimoni viventi della Resistenza raccontano le torture, le bombe, i rastrellamenti. Ma anche la nascita di un bambino, un bacio mai dato, il piacere di mangiare o ridere in classe del Duce.

Un racconto emozionante, vivo, collettivo che arriva dal passato per parlare al presente. Il ricordo della guerra di Liberazione diventa giudizio sull'Italia di oggi.

 Come ha scritto Paola Doriga su la Repubblica: “Le loro storie sono la nostra memoria. Le storie dei nostri nonni, che ci hanno raccontato quando magari non avevamo voglia di ascoltare, e che adesso non sappiamo dire quanto ci dispiace non potere più ascoltare. Le storie dei nostri nonni o dei nonni che ci siamo scelti, arrivate con una parola, con un libro, con una canzone”.

giovedì 8 settembre 2011

8 settembre 1943

Nel settembre 1943 l'Italia, dopo aver perso anche la colonia libica, venne occupata per la parte meridionale dagli alleati anglo-americani. 
Così il 25 luglio di quell'anno il re fece arrestare Mussolini, nominando Badoglio capo del governo e il fascismo venne dichiarato decaduto. Lo stesso governo Badoglio l'8 settembre 1943 firmò l'armistizio con gli alleati e subito dopo fuggì, assieme alla corte, a Brindisi nel territorio controllato dagli americani, mentre l'esercito tedesco invadeva l'Italia del centro-nord. 

Iniziò così la guerra di Resistenza in Italia, che vide contrapporsi le truppe irregolari partigiane ai soldati tedeschi occupanti e al risorto esercito fascista della Repubblica Sociale Italiana di Mussolini.
Frattanto l'Armata Rossa sovietica avanzava da est e gli alleati erano sbarcati in Normandia.
Nel maggio 1945 ebbe termine la guerra in Europa con la conquista dell'intera Germania da parte degli eserciti alleati. Il Giappone continuò la guerra ancora fino ad agosto, quando le due bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki posero fine al conflitto mondiale.



Il dramma dell’esercito italiano scoppia alle 19,45 dell’8 settembre 1943, quando la radio italiana divuiga il messaggio del maresciallo Badoglio nel quale il capo del governo comunicava che l’italia ha “chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate” e che la richiesta è stata accolta. Il dramma si trasforma nel giro di poche ore in tragedia per centinaia di migliaia di soldati abbandonati a se stessi nell’ora forse più tragica dall’inizio della guerra.
Le forze presenti sulla penisola e in Sardegna ammontano a un totale di circa 1.090.000 uomini (10 divisioni nell’italia settentrionale, 7 al centro e 4 al sud della penisola e altre 4 in Sardegna), contro circa 400.000 soldati delle unità tedesche; ma mentre queste ultime sono perfettamente efficienti e fortemente dotate di mezzi corazzati, l’esercito italiano è uno strumento bellico estremamente debole(di questo sono convinti anche allo Stato Maggiore, che infatti considera le truppe italiane sconfitte in partenza), con una buona metà delle divisioni del tutto inefficienti, scarsamente dotate di mezzi corazzati e male armate. A queste forze, numericamente notevoli, vanno sommate le unità italiane dislocate nei vari settori fuori dei confini metropolitani: 230 mila uomini in Francia (e Corsica), 300 mila circa in Slovenia, Dalmazia, Croazia, Montenegro e Bocche di Cattaro, più di 100 mila in Albania e circa 260 mila soldati in Grecia e nelle isole dell’Egeo: in totale 900 mila uomini circa, in teoria una forza formidabile, ma solo in teoria. In realtà si tratta di un esercito assolutamente inadeguato ai tempi, su cui non si può in alcun modo fare affidamento. 

Se a questa situazione si aggiunge, in quel fatidico 8 settembre, l’assoluta mancanza di direttive da parte dei responsabili della macchina da guerra italiana (e in particolare del capo del governo Badoglio, che pure era un militare, del gen. Ambrosio, capo di Stato Maggiore Generale, e del capo di Stato Maggiore dell’Esercito gen. Mario Roatta) e l’imperdonabile leggerezza con cui si affronta il prevedibile momento della resa dei conti con i tedeschi, si puo capire lo sfacelo, il crollo totale dell’esercito italiano all’indomani dell’annuncio della firma dell’armistizio. 
Nella dissoluzione generale (al momento della prova, molti comandanti sono lontani dai reparti, o se sono presenti non hanno ricevuto disposizioni), si verificano tuttavia alcuni coraggiosi quanto inutili tentativi di opporsi all’aggressione tedesca: in Trentino-Alto Adige e in Francia le truppe alpine reagiscono all’attacco, ma sono episodi di breve durata; i focolai di resistenza sono spenti con spietata ferocia.In Grecia, nel desolante spettacolo del disarmo dei reparti italiani da parte dei tedeschi, brilla il coraggio della divisione Acqui che a Cefalonia sceglie la lotta e la conseguente autodistruzione: 9646 morti, una vendetta inutile ma feroce. 


http://digilander.libero.it/secondaguerra/dissolve.htm


DAL 25 LUGLIO ALL'8 SETTEMBRE
Nell’estate del 1943, con il susseguirsi delle sconfitte militari dell’Italia e l’invasione della Sicilia da parte degli Alleati, cresce la sfiducia e l’opposizione verso Mussolini ed emerge una crisi latente, che porterà alla caduta del regime fascista. I principali dirigenti politici e militari del paese, con il determinante appoggio del re, si convincono che solo allontanando Mussolini dal potere si potrà evitare il crollo definitivo dell’italia.
Nella riunione del Gran consiglio del fascismo, che si conclude alle prime ore del mattino del 25 luglio 1943, viene approvato un ordine del giorno presentato da Dino Grandi (presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni), con il quale si decide “l’immediato ripristino di tutte le funzioni” delle istituzioni statali e si conferisce al sovrano l’effettivo comando delle forze armate. Nel pomeriggio il re comunica a Mussolini di aver deciso di sostituirlo con il generale Pietro Badoglio;
il duce viene arrestato dai carabinieri. Alle 22.45 la radio dà la notizia della destituzione di Mussolini e trasmette il comunicato di Badoglio che annuncia il proseguimento della guerra accanto all’alleato tedesco. Folle esultanti si riversano per le strade, acclamando il re e Badoglio ma chiedendo in molti casi pace e libertà. I simboli del regime vengono abbattuti, i fascisti sembrano scomparsi. 
Un decreto di Badoglio scioglie il Partito nazionale fascistae abolisce il Gran consiglio e ilTribunale speciale.
Il governo intende riaffermare la continuità dello stato prefascista e della monarchia sabauda: è ormai chiaro che il colpo di stato contro Mussolini rischia di trasformarsi in un’operazione di ricambio interna al gruppo dirigente.
Temendo che le manifestazioni popolari sfocino in moti rivoluzionari, il capo di stato maggiore dell’esercito, generale Mario Roatta, ordina all’esercito di aprire il fuoco su qualsiasi manifestazione che violi lo stato d’assedio: le vittime saranno numerose.
Mentre i partiti antifascisti (i comunisti, i socialisti, la Democrazia cristiana erede del Partito popolare, gli azionisti di Giustizia e libertà) si riorganizzano,
il governo avvia trattative segrete con gli Alleati. Il 5 settembre, a Cassibile, in Sicilia, viene firmato l’armistizio con gli angloamericani, che verrà reso noto dalla radio solo l’8 settembre. 


Vittorio Emanuele e la famiglia reale, Badoglio e i generali fuggono dalla capitale verso Pescara, prima di imbarcarsi per Brindisi, lontani dalle truppe tedesche. 


L’esercito viene lasciato senza ordini, il paese è abbandonato in balia delle truppe naziste, che il 9 settembre varcano il Brennero. 


Lo stesso giorno gli antifascisti danno vita al Comitato di liberazione nazionale CLN, chiamando il popolo “alla lotta e alla resistenza”. 
Per l’esercito italiano l’annuncio dell’armistizio è uno sfacelo: 60.000 fra morti e dispersi, 550.000 deportati in Germania; fra i superstiti, molti fuggono verso casa, molti danno vita a bande partigiane che animeranno la Resistenza.
Il 10 settembre i tedeschi ottengono la resa dei contingenti italiani posti a difesa di Roma.
Il 12 settembre un reparto di paracadutisti tedeschi, comandato dal maggiore Otto Skorzeny, libera Mussolini, che era stato confinato sul Gran Sasso, e lo conduce in Germania. 










mercoledì 8 settembre 2010

8 settembre 1943

 
 
 L’8 settembre 1943, con un messaggio alla radio del capo del governo Badoglio, viene resa nota la notizia dell’armistizio, firmato segretamente il 3 settembre a Cassibile, in Sicilia, dal plenipotenziario italiano generale Castellani e dal generale americano Smith. L'Italia precipita nel caos. Il Re Vittorio Emanuele III e Badoglio lasciano Roma e, a bordo di una nave da guerra, da Pescara raggiungono Brindisi, nella zona già occupata dagli Alleati. L’esercito, lasciato senza ordini precisi, quasi ovunque si dissolve.











I tedeschi, che nei giorni precedenti avevano fatto affluire rinforzi dal Brennero, occupano di fatto la penisola italiana e disarmano e catturano centinaia di migliaia di militari italiani, in Grecia, in Albania, in Jugoslavia e sugli altri fronti, avviandoli alla prigionia in Germania. Per l’esercito italiano l’annuncio dell’armistizio è uno sfacelo: 60.000 fra morti e dispersi, 550.000 deportati in Germania; fra i superstiti, molti fuggono verso casa, molti danno vita a bande partigiane che animeranno la Resistenza. Gli antifascisti danno vita al Comitato di liberazione nazionale, chiamando il popolo “alla lotta e alla resistenza”. 

http://www.bertapiero.it/garibaldi/perche%208%20settembre.htm